La prima domanda da porci quando si parla di Direzione Eco Friendly è quella di capire cosa si intende davvero per consumismo, globalizzazione ed inquinamento, termini che vediamo sempre più spesso abusati ovunque, dalle pagine social alle polverose riviste che adocchiamo in edicola, ma che molto di rado sono inquadrati correttamente nella loro essenza, ovvero quali tasselli diversi di un unico mosaico.
Il ritmo frenetico ed incessante al quale ormai tutti noi siamo abituati a correre, per tenere faticosamente il passo della nostra società, ha prodotto conseguenze fino a pochi anni fa inimmaginabili sulle abitudini di vita, sulle culture, i costumi e le stesse identità dei singoli individui.
Negli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo processo di omologazione e spersonalizzazione, senza precedenti nella storia umana, che alcuni giornali avevano sapientemente ribattezzato “mcdonaldizzazione della società”.
Non può sorprendere che questo sia stato il terreno fertile in cui il consumismo ha iniziato a viaggiare alla velocità della luce.
La pubblicità aggressiva e l’influenza dei mass media, che propongono modelli spesso inarrivabili, hanno instillato nel consumatore medio l’idea che il raggiungimento dell’appagamento personale si possa avere solo tramite l’omologazione a questi ultimi e che tutto ciò è ottenibile esclusivamente tramite l’acquisto compulsivo ed “acefalo” di prodotti, ad unico vantaggio delle multinazionali che alimentano e si alimentano grazie a questa infinta e sadica giostra.
Questa percezione del consumatore non ha fatto altro che accelerare i processi di obsolescenza, riducendone di fatto il ciclo di vita dei prodotti, con conseguenze intuibili in termini di inquinamento.
Solo negli ultimissimi anni si è fatta strada, con forza maggiore, una nuova coscienza ambientale, che ha dato vita a numerosi movimenti eco friendly che si propongono l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e rendere i processi produttivi maggiormente sostenibili.
In principio il cambiamento è partito soprattutto dalle grandi aziende, preoccupate di restituire al mondo un’immagine di vicinanza all’ambiente, che si sono mosse in questa direzione seguendo varie strade.
Nel nostro Paese, ad esempio, la Ferrarelle ha avviato un progetto di recupero industriale della plastica con l’iniziativa “bottle to bottle”, per la realizzazione delle bottiglie in PET, o polietilene tereftalato, ma anche fuori dai confini nazionali, la tematica è divenuta sempre più sentita, basti considerare, le nuove politiche di produzione della casa automobilistica tedesca Audi, che ha realizzato gli interni della nuova Audi A3 utilizzando dei tessuti con un filato, ottenuto da bottiglie di plastica riciclata.
Un’altra proposta “green” molto interessante è arrivata dall’azienda Heineken Italia. La particolarità di questa iniziativa sta nel fatto che quest’ultima è partita dagli stessi dipendenti dell’azienda, che hanno raccolto 37 tonnellate di rifiuti restituendo alla collettività numerose aree verdi prima abbandonate al degrado nell’ambito di un progetto denominato “10000 per l’ambiente”.
Si può dire che “l’onda verde” stia travolgendo i più svariati settori dell’economia; dalla moda dove Gucci ha aumentato l’utilizzo di energie rinnovabili e incrementato il riciclo degli scarti di tessuto e pelle, alle telecomunicazioni dove Vodafone Italia ha abolito la plastica monouso dai propri uffici, attraverso l’iniziativa ‘’Save the Planet”.
Bisogna però sottolineare come tutte queste iniziative, seppur lodevoli, siano soltanto il primo passo, di una “battaglia“ che non potrà dirsi davvero vinta fino a quando ogni consumatore non sia davvero consapevole del ruolo fondamentale che riveste in questa “lotta”.
È di vitale importanza che il singolo individuo prenda coscienza che il modo più concreto per incidere sulla questione dell’impatto ambientale è quello di adottare modelli di consumo maggiormente sostenibili.
Dei segnali incoraggianti in questa direzione sicuramente ci sono stati e non sorprende affatto che siano molte le aziende, le piattaforme online e le iniziative collettive che cerchino di fare leva su questo sentimento nascente, come ad esempio i numerosi siti e-commerce che si occupano dello scambio o vendita di oggetti usati di ogni tipo oppure le ormai celebri “giornate del riuso”, nelle quali tramite il baratto e la compravendita si allunga la vita utile dei prodotti e si riduce la produzione di rifiuti.
Sono tante le accortezze, le politiche e le iniziative sia collettive che individuali che possono essere utili alla causa, ma il punto focale sarebbe quello di risvegliare in ognuno di noi il concetto di bene comune e la consapevolezza di poter fare davvero la differenza, ricordandoci che il pianeta è sì la nostra casa, ma sarà la casa anche dei nostri figli e nipoti ed abbiamo una vera responsabilità anche nei loro confronti oltre che nei confronti di noi stessi.
Mara Malato