“Non credo a niente che sia facile, rapido, spontaneo, improvvisato, approssimativo. Credo nella forza di ciò che è lento, calmo, ostinato, senza fanatismi, né entusiasmi” (Italo Calvino)
Alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario 2023, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Primo Presidente della Suprema Corte, Pietro Curzio, è intervenuto dando lettura della Relazione sull’Amministrazione della Giustizia nell’anno 2022. “L’analisi sui dati dell’amministrazione della giustizia in Italia nell’anno appena trascorso conferma il quadro in chiaroscuro già descritto nelle precedenti relazioni“, sottolinea il Dott. Curzio, aggiungendo tuttavia che “si assiste ad un lento, ma progressivo miglioramento della situazione. Molte delle valutazioni fatte un anno fa devono essere riproposte e delineano il consolidarsi di alcune tendenze. Se dal quadro generale si passa ai singoli problemi, numerosi sono i dati positivi ed alcuni tendono a consolidarsi. Tra i più rilevanti quello relativo agli omicidi volontari. Nel corso di tutti gli anni Novanta del 900 erano circa 1.900 ogni anno, in parte cospicua commessi da esponenti della criminalità organizzata. Si sono poi lentamente ma progressivamente ridotti sino ad attestarsi nell’ultimo lustro intorno a 300. Quest’anno se ne contano per l’esattezza 3105. Si tratta di un dato cruciale perché colloca l’Italia tra i Paesi più sicuri in Europa e a fortiori nel mondo. Le ragioni sono molteplici. Non è questa la sede per analizzarle tutte. Una di esse merita di essere sottolineata perché attiene all’efficacia del sistema: nel corso degli ultimi trent’anni l’accertamento dell’autore del reato è passato dal 40% degli anni Novanta al 73% del 2016, percentuale che, in base alle rilevazioni in corso, tende ulteriormente a crescere. Sottolineo questo dato perché è emblematico di una situazione che non è così fosca e irrecuperabile come spesso viene presentata. I problemi sono pesanti e complessi, ma cogliere i miglioramenti su questioni fondamentali è importante, prima di tutto come doveroso riconoscimento dell’impegno, in alcuni casi sino al sacrificio della vita, di tante donne e uomini dello Stato e della società civile. In secondo luogo, perché permette di guardare al futuro nella consapevolezza che si possono risolvere nodi critici e drammatici all’apparenza insuperabili”. Sul versante dei reati, un’ombra inquietante rimane per il fatto che “circa la metà degli omicidi sono avvenuti nell’ambito dei rapporti familiari ed affettivi. E una parte molto consistente, 122 su 310, vede come vittima la donna, spesso ad opera del partner o ex partner”. Un dato “ormai costante, anche se proprio nell’anno appena concluso in leggera flessione”. “La violenza contro le donne è un fenomeno allarmante che interroga tutti, innanzitutto a livello culturale, sulle ragioni che lo sottendono. Esige, in primo luogo, che sia considerato e contrastato per quello che è: vale a dire, una vera ‘emergenza nazionale’, che travalica le tradizionali epifanie cui, nei decenni, ci hanno abituato le emergenze criminose e che, dunque, sotto tale aspetto è anche più subdola. È un’emergenza spesso sottostimata, quando non negata, per il carico di vergogna coscienziale che si porta dietro, difficile da comprendere e poi da ammettere”. “Occorre far comprendere e dimostrare anzitutto alle donne, ma certo a tutti, che lo Stato è impegnato nel contrasto di questa follia e che il disgusto sociale si traduce nella concretezza della repressione penale”. “Perché mai una società ormai completamente secolarizzata, emancipata e dinamica nei ruoli sociali, disinibita nel costume, libertaria nelle idee, egualitaria nelle aspirazioni, riversa poi essenzialmente sulle donne un tasso di violenza inconcepibile per quantità e modalità?”. Un interrogativo culturalmente angosciante, che fuoriesce ovviamente dai confini nazionali, per il Procuratore Generale Dott. Luigi Salvato che, nella prima parte del suo Intervento si è occupato del fenomeno della violenza di genere e dello stato di attuazione del ‘codice rosso’. “Nel 2013 l’O.M.S. aveva dichiarato la violenza contro le donne un’epidemia e nel 2018 il Segretario generale dell’O.N.U. l’aveva paragonata a una pandemia globale. Poco prima della pandemia, una lunghissima Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 febbraio 2019 aveva dato atto del regresso a tale data dei diritti delle donne nell’U.E., definendo il termine ‘regresso’ come una resistenza al cambiamento sociale progressista, un’involuzione rispetto ai diritti acquisiti”. Affermazioni, queste, che inducono a un mea culpa del giuridico. Infatti, se alla base della violenza si nasconde, spesso, una (inconfessata) resilienza culturale alla parità, alla piena similitudine antropologica ed esistenziale e all’identità sociale, allora il diritto deve confessare (e pentirsi) della finta neutralità di genere che ancora ispira non pochi suoi istituti; così come della troppo marcata impronta individualistica della società che ne è derivata, dovendo comprendere, come ha scritto Amartya Sen, che i diritti umani e le libertà individuali vogliono dire che, se una persona si trova in una posizione da cui può intervenire in modo efficace per scongiurare la violazione di un certo diritto, essa ha una buona ragione per procedere in tal senso. I doveri verso la società giustificano la pretesa di azioni positive e la realizzazione dell’eguaglianza di genere esige che tutti diano corso al dovere di praticarla. Per tali doveri, anche la funzione rieducativa della sanzione rende lecito pretendere azioni positive, in grado di dimostrare vero ravvedimento. La giurisdizione è chiamata a osservare l’esito finale di tali contraddizioni culturali, provando a lavorare, secondo la sua funzione, sulle cause prossime. Quindi, come in passato per altre emergenze, lavorando alla prevenzione dell’‘ultimo stadio’ del fenomeno e alla repressione immediata di ogni minima devianza antigiuridica: con efficienza e specializzazione; con massima attenzione agli indici dei micro-fenomeni che segnalano l’imminenza dell’evento rovinoso, approntando agili e tempestive risposte processuali. Con un’analisi lucida e puntuale l’analisi il Dott. Salvato ha sottolineato come “anche per l’anno 2022 le rilevazioni statistiche evidenziano dati preoccupanti. Relativamente al periodo 1° gennaio – 30 ottobre 2022, rispetto al numero complessivo registrato di 246 omicidi, 91 vittime sono donne, di cui 79 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 46 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. I numeri conclamano la tragedia di questo fenomeno. Quasi il 40% delle vittime degli omicidi in Italia è una donna; la quasi totalità (79 su 91) lo è in un ambito familiare o in un contesto affettivo; commessi quasi sempre da parte di chi, con la vittima, ha o ha avuto una relazione affettiva. Il mero dato statistico rimanda un lieve decremento: nell’andamento generale dei delitti (da 248 a 246, -1%); nel numero delle vittime di genere femminile (da 101 a 91, -10%); dei delitti commessi in ambito familiare/affettivo (da 124 a 106, -15%, flessione che, in tale ambito, attiene anche al numero delle vittime di genere femminile, che passano da 86 a 79, -8%); del numero di omicidi commessi dal partner o ex partner (da 62 a 50, -19%) e delle vittime donne (da 57 a 46, -19%). La leggera flessione, non implausibilmente, è frutto anche dell’impegno sempre più attento e mirato delle Procure della Repubblica e delle FF.OO”. Dalle relazioni dei Procuratori generali, ha illustrato il Dott. Salvato, emerge accanto ad una legislazione sempre più severa una magistratura sempre più attenta al fenomeno della violenza di genere per i dilaganti casi di violenza di genere di tipo persecutorio. “Un quadro d’insieme che restituisce l’immagine di una magistratura inquirente sempre più attenta e consapevole della necessità di adottare in tale ambito strumenti di contrasto – investigativi e organizzativi – particolarmente tempestivi ed efficaci”. Se “nell’anno 2022 i ‘femminicidi’ registrano una leggera diminuzione, l’analisi delle sopravvenienze registra una recrudescenza del delitto di maltrattamenti in famiglia, quello numericamente prevalente, seguito dal delitto di atti persecutori, dai delitti contro la libertà sessuale, dal delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dal c.d. revenge-porn. (…) Grande è stato lo sforzo di sensibilizzazione e di formazione svolto dalle Procure della Repubblica finalizzato alla creazione di una polizia giudiziaria ‘specializzata’, referente stabile sul territorio. Fondamentali si sono rivelati l’adozione di protocolli operativi per il primo intervento e per la predisposizione di specifiche modalità di ascolto delle vittime e la costituzione all’interno delle Procure della Repubblica di strutture di supporto (ad esempio, le Unità Codice Rosso, composte da addetti alla sezione di polizia giudiziaria e da tirocinanti) e di nuclei interforze specializzati a disposizione dei pubblici ministeri addetti al settore”. Parole ferme e forti, dunque, quelle del Procuratore Generale che ha dichiarato come nella lotta al fenomeno della violenza di genere “la doverosa applicazione della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la legge n. 77 del 27 giugno 2013, rende di rilievo la figura del pubblico ministero che, presente nel processo civile, diventa trait d’union con il procedimento penale: deve essere in grado di “leggere” nel processo civile gli indicatori della violenza consumata tra le mura domestiche e di attivare gli anticorpi del sistema per la protezione delle vittime”. Un intervento che si conclude con l’auspicio del Dott. Salvato, alimentato “dall’ottimismo della ragione, che il Paese conservi la fiducia nella giustizia e che questa recuperi l’efficienza sulla quale i cittadini possono e devono fare affidamento, grazie all’impegno di tanti servitori dello Stato, i quali quotidianamente operano con discrezione, la cui attività non può essere appannata dai comportamenti devianti di alcuni, che vanno perseguiti e sanzionati. L’incremento di fiducia e l’efficienza esigono tuttavia un’azione riformatrice attenta alla tutela di tutti gli interessi in gioco, chiara e ordinata, imprescindibile per la razionalità dell’ordinamento, condizione dell’efficace funzionamento della giustizia”. “Credo che vi possa essere una più grande speranza di benessere e felicità per l’uomo se siamo consapevoli dei nostri limiti, se abbandoniamo la ricerca degli assoluti, se ammettiamo che la giustizia è totalmente relativa e umana e se costruiamo il nostro tempio di pace su fondamenta, rese quanto più stabili possibili da un netto bilanciamento di interessi, basato su uno studio quanto più attento e completo possibile dell’esperienza umana”, Arthur Linton Corbin, Lettera di pensionamento al Corpo docente della Yale Law School.
Paola Francesca Cavallero