Approvata la direttiva “Woman on boards” sostenuta dalla Presidente della Comunità Europea Ursula von der Leyen.
La nuova direttiva “Women on boards” sull’equilibrio di genere stabilisce quote rosa nei Cda delle aziende europee rompendo il “soffitto di cristallo” per le donne. Il 24 Maggio è stato l’anniversario dell’espressione “Glass ceiling” usata oggi per indicare gli impedimenti che vengono posti alla carriera delle donne che non riescono a raggiungere posizioni apicali e questa direttiva sembra proprio sugellarne una rottura. L’ intesa tra Commissione Europea, Consiglio e Parlamento è arrivata solo oggi dopo dieci anni dalla prima presentazione fatta dalla Commissione Europea, seguito da un blocco del fascicolo perpetuato dal Consiglio. Questa sofferta resistenza al cambiamento dei Cda in Europa è stata sbloccata da un accordo tra ministri del lavoro e Affari Sociali, accolto con grande entusiasmo e soddisfazione dal Presidente Ursula von der Leyen che ha twuittato: “Questo è un grande giorno per le donne in Europa. È anche un grande giorno per le aziende perché più diversità significa più crescita, più innovazione”. Non c’è dubbio su quanto afferma la Presidente della Commissione Europea, si tratta davvero di un binomio che genera un aumento di produttività nelle aziende: diversità ma anche inclusione saranno garantite da questa direttiva che ha l’obiettivo non solo di favorire l’ingresso delle donne nei CDA che dovranno occupare almeno il 40 per cento dei posti ai vertici delle società per azioni, ma si impegnerà a garantire trasparenza nelle procedure di assunzione nelle stesse. In Europa le potenzialità delle donne nel lavoro subiscono delle limitazioni, non è un’impressione ma è la risposta ad un’indagine fatta da un’associazione che tutti gli anni conta la presenza delle donne nelle posizioni apicali degli organigrammi aziendali e nei consigli di amministrazione: Ewob, Europian Women On Boards. Dall’ultima analisi presentata nel 2022, svolta su un campione di 668 Società quotate in 19 Paesi europei, risulta che nel 2021 solo il 35% dei membri dei Cda è donna e le amministratrici delegate sono solo il 7%. Dati sconfortanti se pensiamo che quel 7% corrisponde a solo 50 donne in tutta Europa che sono riuscite a superare il management intermedio, a conferma delle barriere che rendono difficile e complessa la salita delle donne in posti di potere. Di fatto le donne molte meno di quanto non siano gli uomini che raggiungono la quota pari all’ 81% delle posizioni chiave delle aziende europee. I Paesi oggetto di questo rapporto sono Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito, La Repubblica Ceca, (i risultati della Grecia sono parziali). Alla guida della classifica tra i primi nel Gender Diversity Index ovvero Indice della parità di genere in cui si associa ad 1 la parità totale uomo- donna, troviamo la Norvegia con GDI di 0, 72 e a solo 0,1 punto percentuale di distanza ecco la Francia, grazie ad una politica sociale virtuosa negli anni. Fanalino di coda la Polonia con un GDI di 0,41 e la Grecia con uno 0,24. L’Italia ha un indice di 0,62, non male grazie ad una legge sulle quote rosa, che ha innalzato la quota di genere al 40% per i C.D.A., più semplicemente: almeno il 40% dei dirigenti e dei Collegi Sindacali delle Società quotate in borsa siano donne sebbene ci allontani dalla parità il fatto che ai vertici delle aziende solo il 3% sia donna. In Italia la legge Golfo-Mosca sulle quote rosa è entrata in vigore2011. La norma prevede che “il genere meno rappresentato nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società a controllo pubblico ottenga il 30% dei membri eletti”. C’è da chiedersi cosa accade nelle aziende non quotate in borsa che non sono obbligate alle quote rosa. Secondo dati pubblicati dal Sole 24 ore, (Fonte: Rapporto Manager Italia) negli ultimi 12 anni le donne sono cresciute del 56%, un dato che non è così alto se si pensa a quale livello si era 12 anni fa. Ora le donne dirigente rappresentano il 19% del totale. Solo nel 2020 secondo dati Inps rielaborati, i manager (sia uomini che donne) aumentano: +0,59%, ma questa crescita sembra sia dovuta alle donne che rappresentano il +49% del totale, detto in soldoni dal 2019 si contano 1039 donne manager in più, sicuramente come effetto “Pandemia”.
L’aumento della leadership femminile in ruoli apicali rimane lento anche perché gli uomini rimangono la stragrande maggioranza di dirigenti di nuova nomina: nel 2021 il 31% di dirigenti di nuova nomina è donna. E rappresentano a loro volta il 23% di tutte le persone che hanno abbandonato posti di comando. Non va meglio con il ricambio generazionale, tanto che solo un esiguo 7% di uomini viene sostituito da donne. Sempre secondo il Gender Diversity Index il trend positivo c’è ma è molto debole, nel sondaggio tra le 668 aziende, il miglioramento è solo del 5% ovvero da 0,56 nel 2020 allo 0, 59 nel 2021. Approfondendo ulteriormente lo spaccato delle aziende medie con un GDI (Gender Diversity Index) di 0,59 punti, la leadership femminile si mantiene su percentuali non esaltanti: il 30% di tutte le posizioni dirigenziali, parliamo di Consiglio e Livello esecutivo; il 35% di membri del Consiglio sono donne; solo il 19% di dirigenti e il 36% dei membri del Comitato sono donne.
L’Italia regge il confronto anche con la classifica mondiale del 2019 delle donne nei CDA, dove si aggiudica un buon quinto posto (Fonte: Ricerca CS Gender 3000 in 2019. Credite Suisse). I primi in classifica gli Stati Uniti che registrano la quota più alta di donne in posizioni manageriali, insieme all’ Asia Pacifico (escluso Giappone che è in fondo alla classifica) evidenziando che le aziende con una presenza importante di donne in ruoli apicali sono più produttive e più performanti in Borsa. Il Nord America ha avuto risultati positivi in assenza di politiche e quote rosa a differenza del Giappone, dove malgrado le riforme e la dichiarazione politica di “Womenomics” i miglioramenti sono ancora molto lenti soprattutto se si considera che nel 2009 registravano solo l’1% di donne nella CDA. I miglioramenti in termini di incrementi proporzionali 2019vs2015 sono stati tra il 9,4% e il 12,8% sono stati registrati di Germania, Austria, Francia, Malesia, Australia. Per quello che riguarda i settori, alcuni sono ancora molto di appannaggio maschile, come il settore informatico dove gli uomini occupano l’80% di posizioni di responsabilità, mentre un terzo di tutte le funzioni “Share Services” ovvero servizi a supporto di processi “core” aziendali, nelle fabbriche e nelle divisioni commerciali è occupato da donne. La quota più elevata di Ceo spettava fino al 2019 con il 5,6% all’Asia Pacifico, al Nord Europa 4,5% e all’ l’Europa con il 4,1%.
Quanto influisce la pressione normativa e le quote rosa sul trend positivo in quei Paesi del mondo dove la legge ha quindi favorito il maggior ingresso delle donne in cariche dirigenziali o apicali? Nonostante quote rosa e politiche correlate, la quota femminile di management non è straordinaria (Fonti: dati Ceo e Cfo). La diversity invece fa registrare livelli più elevati di redditività ed è guardata con maggiore favore dagli azionisti (fonte: Credit Suisse). Le aziende con un maggior numero di senior manager donne hanno maggiore qualità e sono più differenziate. Secondo un’indagine proprietaria condotta su un campione di 120 aziende, rendimenti finanziari e performance azionarie sono maggiori, sono più frequenti nelle aziende familiari in cui le donne hanno una presenza dirigenziale particolarmente importante. La loro dipendenza dal debito sembra essere inferiore, mentre i rendimenti cash flow sono aumentati. Una maggiore attenzione agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu è merito delle donne, sempre più focalizzate sulla sostenibilità.
Da questi dati si evince che il miglioramento dei trend di crescita del numero di donne in posizione apicale nel CDA e nel top management dipende dal cambiamento culturale in atto, un processo lungo e sofferto che interessa ogni parte del mondo. La divulgazione di studi che dimostrano che le aziende guidate da donne ricorrono meno al debito per finanziarsi e che sono più longeve rispetto alle analoghe condotte da uomini, può velocizzare questo cambiamento atteso e promosso dalla nuova direttiva “Women on boards” della Commissione Europea. Secondo Forbes esiste una “percezione generalizzata” secondo cui non ci sono credenze a riguardo di una migliore leadership maschile anche se alle donne vengono riconosciute maggiori competenze di inclusività e di change management, mentre agli uomini si riconosce autorevolezza e carisma. La soddisfazione e l’ottimismo portati da questo grande passo avanti fatto dalla Commissione Europea ci fanno sperare in un futuro in cui uomini e donne collaborino senza escludersi, integrando capacità, competenze ed esperienze per favorire il progresso e la crescita delle aziende in questa Europa unita nel grande sogno di equità di genere.
Teresa Sisto