La IV ondata in Europa non arresta il suo moto, L’Austria ha già annunciato che dovrà chiudere di nuovo per tutti. La misura del lockdown sembra non essere esclusa neanche dalla Germania, che ha esteso le restrizioni anche per i non vaccinati. Di fronte alla situazione drammatica della quarta ondata che oggi vede coinvolte 53mila persone contagiate, ed oltre 200 morti alla data del 21 novembre, tornano alla memoria tristemente i dati pubblicati da Istat su un’altra emergenza generata dal lockdown del Covid-19: la violenza domestica. Spesso la violenza avviene dentro le famiglie. L’accoglienza delle vittime nelle case famiglia è stata ostacolata nello scorso lockdown dalle disposizioni normative in materia di distanziamento sociale introdotte al fine di contenere il contagio. È importante sottolineare che il numero di emergenza 1522 antiviolenza e stalking è rimasto attivo e rimane attivo in ogni caso, anche in caso di nuove restrizioni per il nostro Paese. I dati pubblicati il 17 maggio 2021 dall’Istat parlano chiaro: le richieste di aiuto durante la pandemia nel 2020 sono aumentate del +79,5% rispetto allo stesso mese del 2019 sia per telefono, sia via chat, un grido muto che ha registrato il +71%. In occasione del 25 novembre scorso, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica, si è avuto un boom di chiamate, un picco sempre presente negli anni e che ci si aspetta anche questo novembre 2021. Ricordiamo della settimana tra il 23 e il 29 novembre del 2020, le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).
È un problema solo italiano? Assolutamente no. A Novembre 2021 è stata pubblicata in Germania dalla Fondazione “Otto Brenner” (l’istituto scientifico del sindacato tedesco Ig Metall) una ricerca shock sulla violenza maschi le sulle donne: tragedia nella tragedia in quanto i media sono interessati solo in caso di morte della vittima e se c’è di mezzo lo straniero. “Come i media raccontano la violenza” lo studio in questione riassume il contenuto di titoli di 3500 articoli sul tema con ashtag #me too e femmicidio. Il risultato dell’analisi in 80 pagine contiene dati scioccanti: la prima causa del fenomeno, le lesioni corporali. La prima causa del fenomeno, viene menzionata solo nel 18% degli articoli, partner ed ex partner sono responsabili di quasi il 40% dei casi denunciati, nonostante ciò il fenomeno sui media non viene quasi mai presentato nell’ambito delle relazioni familiari. L’approccio giornalistico tedesco in alcuni casi fa aumentare il victim-blaming, ossia l’idea che la vittima sia in qualche modo colpevole di ciò che è accaduto, per via dell’assenza di informazioni personali come nome, età e professione delle vittime che al contrario se venissero menzionate avvicinerebbero il pubblico a chi ha subito l’atto violento, specialmente tra le donne. La nazionalità menzionata in un quarto dei casi e prevalentemente riferita a iracheni, siriani o turchi. L’aggettivo «tedesco» invece compare solamente in un articolo ogni cento. La religione riportata più frequentemente rimane l’islam, inoltre la violenza sulle donne non supera lo sbarramento delle cronache locali. In Gran Bretagna per le vittime intrappolate con i loro aguzzini l’esito è stato fatale e catastrofico: il New York Times ha scoperto che durante il primo mese di lockdown, sedici donne sono state uccise in “sospetti omicidi domestici”, più del triplo rispetto allo stesso periodo del 2019. In Francia l’associazione «Femminicidi per mano del compagno o ex» tiene il conto delle vittime che ha subito un’impennata nel primo lockdown: appena il 20% delle vittime di violenza coniugale denuncia l’aggressore. Molte donne dicono di non sentirsi abbastanza protette dalla giustizia. Insieme alla Spagna, la Francia è stata apripista di una misura importante in sostegno delle donne vittime di violenza, dando a loro e ai loro figli la possibilità di passare la quarantena in albergo. Il lockdown ha esasperato la situazione già critica delle violenze domestiche in tutta Europa e nel mondo, tanto che l’Onu in un rapporto ha messo in evidenza quanto la quarantena forzata abbia causato per via della convivenza forzata, un aumento degli abusi sulle persone più indifese, compresi i minori. Lo stress causato dall’incertezza di aver perso il lavoro e la vicinanza forzata giorno e notte con gli aggressori sono stati individuati come fattori scatenanti di episodi di violenza, con l’aggravante che le donne hanno avuto maggiori problemi a sporgere denuncia per motivi di limitazione di spazi e di conseguenti movimenti.
In Italia aumentano le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019) mentre sono stabili le violenze dai partner attuali (57,1% nel 2020).
La violenza segnalata quando si chiama il 1522 è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne hanno subito più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%). L’evoluzione dello scenario italiano non è tanto migliore rispetto alle statistiche che riguardano le nuove vittime: rispetto agli anni precedenti, sono aumentate le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020; 18,9% nel 2019).
Un saggio di M. Dell’Anno, Parole e pregiudizi. Il linguaggio dei giornali italiani nei casi di femminicidio, (LuoghInteriori, Città di Castello (PG) 2021), racconta come e quanto è cambiata la narrazione del femminicidio. La cronaca dei giornali e dei telegiornali continua a raccontarci uccisioni di donne da parte, per lo più, di uomini a loro vicini, compagni o ex, per l’autore si tratta di una cultura da cui nessuno di noi è escluso, da cui “nessuno può sentirsi immune, perché affonda le radici nella cultura che tutte e tutti condividiamo”. Un fenomeno trasversale, se pensiamo allo scandalo tedesco dato che è inevitabile che il linguaggio di chi scrive rispecchi sempre la sua cultura su quel particolare argomento o contesto. Dato per certo che la violenza di genere sia da considerarsi un problema culturale, su “Parole e Pregiudizi” viene condotta un’analisi degli articoli comparsi sui più diffusi quotidiani italiani nell’arco di un anno tra aprile 2019 e aprile 2020 riguardanti 26 casi di donne uccise da un uomo identificato con cui avevano o avevano avuto una relazione intima. In Italia la narrazione giornalistica rispetto a quanto accade in Germania, tende nel riportare i casi di femminicidio, a fornire al lettore un frame interpretativo che deresponsabilizza l’azione violenta dell’uomo. La giustificazione più comune è rappresentata dalla descrizione di un “delitto d’impeto”, causato spesso da un comportamento della donna che ha deluso le amorose aspettative del partner, con la conseguenza di fare di ogni caso un caso isolato e non il risultato di una cultura. La stampa italiana non se la passa meglio di quella tedesca, di fatto nelle cronache fioccano le parole colpevolizzanti verso la donna, malgrado il numero crescente di femminicidi nella stampa nazionale, è scarsa l’attenzione al modo in cui viene proposta la narrazione di tali fatti. Spesso si scrive che chi ha ucciso l’ha fatto perché il suo amore non era corrisposto e non per esempio perché non la vedeva come una persona ma come un oggetto o perché non accettava la sua autonomia e libertà. Ogni frase orienta l’interpretazione dei lettori e questo mette in luce le criticità dei media.
Da entrambi gli studi pubblicati, quello tedesco a cura della Fondazione “Otto Brenner” e quello italiano “Parole e pregiudizi”, è chiara la necessità di dover recuperare collettivamente l’idea che le parole abbiano un potere nel far percepire la violenza di genere alla collettività, che accetta come realtà non solo quel che viene loro detto ma come viene loro detto. Si tratta di un problema trasversale e culturale in cui la stampa, e i giornalisti, ha molte responsabilità nel decidere di mettere in atto un cambiamento nel linguaggio che viene utilizzato per descrivere la violenza maschile contro le donne, perché diventi un linguaggio “corretto” verso le vittime e verso gli autori, libero da pregiudizi per una cultura giusta da lasciare in eredità ai nostri figli e figlie e ai bambini del futuro. Dal 2006 il Dipartimento per le Pari Opportunità ha attivato il numero di pubblica utilità 1522, un sistema per l’emersione e il contrasto del fenomeno della violenza intra ed extra familiare. Al momento, scongiurando che non si verifichi un nuovo lockdown, è importante ribadire il numero 1522, il numero è attivo 24 ore su 24 per tutti i giorni dell’anno ed è accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile, con un’accoglienza disponibile nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo, perché le vittime possono essere qualsiasi donna, di qualsiasi provenienza, età e fascia sociale.
Teresa Sisto