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19 Febbraio 2025
La sostenibilità del sistema previdenziale
Lavoro e Previdenza Primo Piano

La sostenibilità del sistema previdenziale

Succede ogni anno, puntualmente. In autunno, insieme alle foglie gialle e alle castagne, ritorna il dibattito sulle pensioni.

E, come avviene ogni anno, anche nella prossima Legge di Bilancio, il Governo si appresta a varare alcune misure in materia previdenziale.

Misure in materia previdenziale

Il nodo centrale è sempre il superamento della famigerata “Legge Fornero”, la riforma operata dal Governo Monti nel 2012 – in una situazione di estrema emergenza dei conti del Paese e di forte pressing da parte dell’Unione Europea – i cui capisaldi erano l’applicazione ‘universale’ del sistema di calcolo contributivo, l’innalzamento dell’età pensionabile ed un ulteriore meccanismo di innalzamento automatico dei requisiti pensionistici legato ancora più saldamente all’incremento atteso della speranza di vita della popolazione.

Ce lo ricordiamo tutti, la legge è stata fin da subito oggetto di attacchi, molto spesso feroci, da parte di settori della politica e dell’opinione pubblica, anche tra loro molto distanti, in quanto considerata iniqua per i sacrifici a cui costringeva i lavoratori, entrando ‘a gamba tesa’ anche su coloro che vedevano il traguardo della pensione ormai a un passo.

Fin da subito, molte forze politiche ne hanno chiesto il superamento, invocando meccanismi di maggiore flessibilità in uscita, e alcuni partiti hanno messo la ‘cancellazione’ di questa norma ai primi punti del proprio programma politico.

Eppure, a distanza ormai di 13 anni, quella norma è ancora lì.

Misure correttive della Legge Fornero

In questo arco temporale si sono succeduti Governi di tutte le estrazioni: centro sinistra, “gialloverdi”, “giallorossi”, tecnici, di centro destra. Poco o nulla è cambiato.

Le varie misure correttive della “Legge Fornero” introdotte in questi ultimi anni (“Quota 100”, “Quota 102”, “Quota 103”) si sono rivelate per lo più “provvedimenti bandiera”, con così tante condizioni e penalizzazioni (incumulabilità con qualsiasi attività lavorativa; applicazione del sistema di calcolo contributivo; tetto massimo di importo; incentivo al posticipo del pensionamento) da disincentivarne l’accesso o da renderle, comunque, misure per pochi.

Non solo, dal 2023 anche la storica “Opzione Donna” è stata fortemente depotenziata e dal 2024 sono state allungate le finestre di uscita per la pensione anticipata.

Anche quest’anno, per quello che al momento si conosce della prossima Legge di Bilancio, non vi è all’orizzonte alcuna proposta di superamento della “Fornero” e le misure previdenziali che il Parlamento si appresta a varare sembrano ispirate da notevole cautela: proroga delle varie misure introdotte negli scorsi anni (APe Sociale, Quota 103 ‘contributiva’ e con tetto di importo, Opzione Donna solo per limitati casi specifici).

Rafforzamento della misura di “Incentivo al posticipo al pensionamento”

Pare ormai certo un rafforzamento della misura di “Incentivo al posticipo al pensionamento” che possa spingere i lavoratori a restare in attività anche dopo aver raggiunto il diritto a pensione, rendendo più conveniente rinviare il pensionamento; tutto il contrario della auspicata maggiore “flessibilità in uscita”.

Perché, allora, nonostante le critiche ed i proclami, nessun Governo e nessuna maggioranza succedutasi in Parlamento ha abrogato o superato quella norma tanto odiata?

Perché, semplicemente, “i soldi non ci sono”.

Il Presidente INPS Fava, nel corso di una audizione di pochi giorni fa davanti alla Commissione per il controllo degli Enti pensionistici, ha sottolineato che una vita lavorativa sempre più estesa, da conseguire attraverso incentivi alla permanenza degli occupati nel mercato del lavoro, può contribuire a rendere più sostenibile il nostro sistema previdenziale.

Affermazioni coerenti, del resto, con gli obiettivi del Piano strutturale di bilancio di medio termine approvato di recente dal Governo, che sottolinea l’importanza della sostenibilità del sistema pensionistico alla luce dell’evoluzione della piramide demografica.

Ma allora è ragionevole chiedersi se il nostro sistema previdenziale è sostenibile?

Anche dopo l’introduzione del metodo di calcolo contributivo, il nostro sistema pensionistico è ancora, in larga parte, un sistema “a ripartizione” (sono, cioè, i contributi dei lavoratori attivi che pagano i trattamenti dei già pensionati).

L’andamento del sistema è condizionato da variabili di tipo economico (il livello di occupazione e l’andamento del PIL) e demografico (il tasso di natalità, il tasso di invecchiamento della popolazione, il rapporto tra popolazione attiva e pensionati) che influiscono sulla dinamica pensionistica e determinano se il sistema è in grado di sostenersi o va fuori equilibrio.

Nel corso degli ultimi anni, l’andamento sfavorevole dei fattori economici e demografici ha determinato la perdita di equilibrio del sistema e le uscite superano le entrate.

Solo limitandoci ai dati più recenti, negli ultimi 5 anni la spesa per le pensioni è cresciuta di quasi il 19%, da 268 a 319 miliardi di euro, e, nel biennio 2023-2024, anche a causa dell’elevata inflazione, si è portata oltre il 16% del PIL.

Aumenta il numero dei pensionati e di contro diminuisce il numero dei lavoratori e, quindi diminuiscono le entrate contributive e si crea un disavanzo.

In particolare, il rapporto tra pensionati e popolazione attiva continua a crescere in maniera preoccupante: attualmente (dati aggiornati al 2020) è pari al 36,42% (poco più di 1 pensionato ogni 3 attivi), ma alcune stime ne prevedono la crescita fino al 65% (2 pensionati ogni 3 attivi) nel 2040.

A questi scompensi, il Legislatore ha cercato, nel tempo, di porre rimedio con gli strumenti tradizionali, mettendo cioè ripetutamente mano alle regole del sistema pensionistico.

Agendo sull’importo delle pensioni (l’introduzione del calcolo contributivo), aumentando dove possibile la contribuzione ed innalzando l’età pensionabile (oggi legata alla dinamica dell’aspettativa di vita).

In alcuni casi, in un recente passato, queste leve sono state utilizzate tutte insieme, per far fronte ad una situazione che stava diventando disperata, è questo il caso della citata riforma Monti-Fornero.

Modificare l’andamento dei fattori economici e demografici

Per invertire questa dinamica non possono tuttavia bastare gli interventi di riforma delle pensioni ma è necessario agire per modificare l’andamento dei fattori economici e demografici che stanno alla base del sistema.

I dati ISTAT evidenziano il progressivo invecchiamento della popolazione italiana: nel 2031 le persone con un’età pari o superiore a 65 anni saranno il 27,7% del totale della popolazione, con una previsione del 34,5% nel 2050 e con un’età media in costante crescita (gli ultimi dati disponibili parlano di una età mediana in Italia di 47,6 anni, contro una media europea di 43,3).

L’invecchiamento demografico ha ripercussioni dirette sul mercato del lavoro, la spesa pubblica, i servizi sociali, la struttura sanitaria ed il sistema di welfare e, quindi, sull’andamento economico e sullo sviluppo sociale, culturale e sociale di una nazione.

Questa tendenza all’invecchiamento, infatti, oltre a comportare problemi strutturali di tenuta e sostenibilità del sistema previdenziale, impone anche un ripensamento ed un adeguamento del sistema di tutele – non solo previdenziali, ma anche sanitarie e assistenziali – nei confronti di una così larga fascia di popolazione in età avanzata, nonché un adeguamento dei servizi assistenziali e socio-sanitari che, prevedibilmente, saranno sottoposti a pressioni crescenti, dovendo fronteggiare i fabbisogni di una quota crescente e più longeva di anziani.

Peraltro, l’invecchiamento della popolazione si accompagna ad un calo demografico complessivo. Il tasso di crescita risulta strutturalmente negativo: le nascite continuano a diminuire ed il saldo con il numero dei decessi è stato negli ultimi anni spesso negativo, solo parzialmente compensato dal saldo migratorio positivo. Il saldo naturale della popolazione (nati – deceduti) è però sempre più negativo mentre il saldo migratorio è sempre meno positivo.

Parallelamente, il numero medio di figli dell’Italia è uno dei peggiori d’Europa (1,29; peggio di noi, solo Malta e Spagna) ed in costante discesa (lontano dalla soglia di 2,1 figli per donna che assicura ad una popolazione la possibilità di mantenere costante la propria struttura).

L’effetto combinato dell’invecchiamento della popolazione e del calo delle nascite sta riducendo fortemente la platea di persone in età da lavoro (15-64 anni); nel 2030 il calo degli occupati in Italia sarà del 3,2%, contro lo 0,6% di media europea. Le proiezioni stimano un calo del 13,8% nel 2040 (- 3,1 milioni) e del 20,5% nel 2050 (- 4,6 milioni).

Si guarda con preoccupazione alla data del 2030, in cui raggiungeranno il traguardo della pensione gran parte dei baby boomers (nati nei primi anni ’60), facendo crescere – nonostante l’applicazione del sistema contributivo – la curva della spesa pensionistica.

Drastica riduzione della popolazione attiva

A questo esodo non si riuscirà a sopperire con un corrispondente ingresso dei giovani. Il rapporto tra i 15enni ed i 65enni, di 1 a 3, provocherà una drastica riduzione della popolazione attiva già oggi scesa al 63,5% che è destinata ad abbassarsi al 61,5% nel 2030, fino a toccare il livello previsionale del 53,3% nel 2050. Un parziale riequilibrio nella struttura della popolazione, con gli ‘attivi’ che risaliranno al 54,1%, potrà aversi solo intorno al 2070, via via che le generazioni del baby boom tenderanno ad estinguersi.

Il progressivo avvicinamento alla pensione della generazione dei “baby boomers” comporterà quindi una riduzione della base contributiva, non recuperabile neanche con l’eventuale ed auspicabile introduzione, fin da subito, di politiche efficaci di contrasto alla denatalità, che produrrebbero effetti sul mercato del lavoro solo tra 20/25 anni.

Insomma, ci avviamo verso una società in cui, per diversi decenni, il numero di anziani sarà sempre più elevato, mentre il numero dei giovani e degli ‘attivi’ si ridurrà sempre di più.

In un sistema a ripartizione, il sistema contributivo è solo nominalmente a capitalizzazione, in cui tanto maggiore è il numero dei lavoratori attivi che pagano i contributi e quanto più è elevato il loro rapporto rispetto ai pensionati, tanto più il sistema previdenziale è in grado di finanziarsi e di essere sostenibile, questi dati delineano uno scenario allarmante.

È necessario quindi invertire la tendenza demografica e, parallelamente, quella occupazionale, se vogliamo garantire trattamenti pensionistici in grado di soddisfare le esigenze di vita dei futuri pensionati.

Misure concrete a sostegno della natalità e della famiglia

Servono, allora misure concrete a sostegno della natalità e della famiglia, che consentano di contemperare le esigenze familiari con quelle lavorative in modo da favorire una ripresa della natalità senza addossarne interamente il carico alla famiglia.

Allo stesso modo, occorrono anche misure di sostegno finanziario per le giovani famiglie, strumenti più flessibili di accesso al credito ed un mercato del lavoro che apra le porte ai giovani e possa dare loro stabilità economica, sicurezza, prospettive per le giovani famiglie.

E allora, va data priorità alle misure per incentivare la crescita del tasso di natalità, vanno create le condizioni per un sano equilibrio tra lavoro e vita privata e per un maggiore accesso delle donne al mercato del lavoro e vanno soprattutto create le condizioni per una ripresa economica che favorisca lo sviluppo produttivo, la crescita dell’occupazione ed il ricambio generazionale.

Sviluppo economico significa infatti maggiore benessere complessivo, maggiore occupazione, crescita delle retribuzioni e della stabilità economica, con il “circuito virtuoso” che ne consegue.

Azioni più decise per il recupero della base contributiva

Servirebbero anche azioni più decise per il recupero della base contributiva, e non solo, di quella larga parte di economia sommersa che tutti sanno esistere e la cui elusione ed evasione contributiva e fiscale sottrae importanti risorse alla collettività.

Un compito complicato, certamente difficile, e forse, politicamente non “remunerativo” (perché i frutti si vedranno solo nel medio-lungo periodo.

Eppure, se non avremo il coraggio di misurarci con un orizzonte temporale più ampio, e di progettare e costruire per un futuro che vada oltre noi ed il nostro tempo, ci troveremo sempre a confrontarci con un sistema che rischia di diventare progressivamente sempre meno gestibile e sempre meno sostenibile. Inseguiremo l’eterna ricerca di un equilibrio, ogni giorno più difficile da trovare, tra le legittime esigenze dei lavoratori e le stringenti necessità di bilancio.

Luca Giustinelli

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