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7 Ottobre 2024
Primo Piano

L’avvocato (ed il cliente) che verrà: la cosìddetta “Pratica Collaborativa”

L’ottica perseguita dal progetto di riforma del processo civile e dei provvedimenti che negli ultimi anni l’hanno preceduta -di tenere lontano dalle aule giudiziarie quante più liti possibili anche per la evidente incapacità del “sistema istituzionale” a dare risposte utili ed efficaci in tempi rapidi- sta portando al consolidamento di una nuova prospettiva nel modo con cui l’avvocato e la parte devono approcciare la gestione dei rapporti conflittuali.

Sta, finalmente, prendendo piede la consapevolezza, piuttosto che fare una lunghissima attesa per incontrarsi davanti ad un Giudice -talvolta oberato o distratto- per avere soluzioni non corrispondenti all’effettivo interesse delle parti, l’opportunità, sulla scorta, si badi bene, di principi giurisprudenziali che ancor più si auspicano solidi e non ondivaghi, dell’opportunità di attuare la cosìddetta “Pratica Collaborativa”.

E’ questo un metodo non contenzioso di risoluzione dei conflitti, ideato negli anni ‘90 negli Stati Uniti per una diversa gestione dei conflitti familiari, poi diffusosi in molti Paesi, applicato anche in materia civile e commerciale, recepito dal 2010 in Italia, basato sulla volontarietà dell’approccio e, principalmente, sulla maturità e consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo e funzione sociale dei professionisti che lo praticano.

Anticipando eventuali perplessità e critiche, anche di colleghi, relative al preteso snaturamento della funzione forense, è opportuno chiarire che l’approccio negoziale non viene effettuato sulla scorta di un generico “volemose bene” o di un “meglio un cattivo accordo che una causa vinta”, di partenopea tra-dizione, bensì sulla comparazione delle migliori e peggiori opportunità in campo, considerando nelle stesse anche i costi ed i tempi di ottenimento e di esecuzione del provvedimento giudiziale ottenibile.
È un metodo che mette al centro le persone e i loro interessi, consentendo di individuare soluzioni aderenti ai bisogni particolari delle parti in contrasto, non solo di carattere legale, ma anche economici e relazionali, in un processo di negoziazione stragiudiziale che si deve distinguere per il clima di collabora-zione, buona fede e trasparenza da attuare, col supporto di professionisti altamente qualificati (avvocati e, a seconda della questione in lite, e commercialisti, ingegneri, architetti, medici, esperti in familiari, ecc…), nell’intento di raggiungere soluzioni concordate, in alternativa sia al procedimento giudiziale contenzioso, sia alla negoziazione stragiudiziale tradizionale volta al raggiungimento di un accordo, che può anche prescindere dal tentativo di far ripartire il rapporto tra le parti.

La diffusione delle pratiche di A.D.R. -gestione alternativa (o collaborativa) delle controversie- non è solo una risposta alle carenze del sistema giudiziario, ma rappresenta soprattutto una soluzione del conflitto fondata sulla valorizzazione del potere di autodeterminazione delle parti e sulla continuità dei loro rapporti in futuro.
Questo consente alle parti di raggiungere più rapidamente una soluzione fruibile: si pensi al tempo necessario per avere una sentenza di primo grado, a quello necessario per l’appello o per la successiva sottoposizione al giudizio di Cassazione nonché a quello –anch’esso lungo- di relativa esecuzione forzata.
Contrariamente a quanto si è portati a pensare, la quantità di impegno profuso dal professionista nella gestione di queste negoziazioni è, spesso, ben maggiore rispetto a quanto necessario per la gestione della lite in sede giudiziale, richiedendo competenza giuridica, velocità di valutazione delle varie opzioni in campo, disponibilità all’ascolto attivo ed alla mediazione per far sì che l’accordo riesca a fare ciò che, purtroppo, la giustizia ha sempre più abbandonato: dirimere i conflitti e garantire ripartenza di rapporti.

Destinatario del cambio di prospettiva, però, è anche la parte, la quale, anche in ragione della sempre più costante prassi degli Uffici Giudiziari di condannare alle spese anche il ricorrente in procedimenti nei quali storicamente si asteneva (cause di lavoro, dei consumatori), dovrà ponderatamente valutare la scelta del professionista e del metodo utile alla cura dei propri rapporti.

Se, poi, il tentativo di risoluzione bonaria non avrà esito, potrà esser chiesta al Giudice l’applicazione della maggiorazione delle spese per aver, controparte, negato il riconoscimento del diritto nonostante la disponibilità a bonariamente definire.

Carlo Maria Palmiero

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