Sono le principali vittime dei conflitti ma anche le protagoniste di coraggiose lotte
Nelle situazioni di emergenza le donne, nel silenzio e nella sofferenza, si fanno portavoce dei diritti umani e lottano con coraggio, forza e determinazione per la loro difesa. “Il mio pensiero va a chi sta affrontando una guerra che non risparmia nessuno, che non ha pietà di donne e bambini. Abbiamo tutti nel cuore il loro grido di dolore” ha ricordato la presidente del Senato in occasione della Santa Pasqua. “In queste ore drammatiche, segnate dal ritorno della guerra al cuore dell’Europa, un pensiero particolare va alle donne ucraine, che stanno affrontando momenti di grande dolore con grande coraggio. Alle donne che la guerra ha lacerato e diviso da affetti e certezze, alle donne che continuano a lottare come pilastri morali e materiali di un intero popolo va oggi la nostra vicinanza, la nostra solidarietà e un messaggio di speranza. La speranza che la loro via della resistenza possa presto trasformarsi in una via della pace. Perché non è un caso che in moltissime lingue “pace” sia un sostantivo di genere femminile”, aveva commentato l’11 marzo Elisabetta Casellati.
Le Donne che superano gli ostacoli, i conflitti e donano la Pace
La storia ci consegna l’insegnamento delle grandi Sante e delle Martiri per la Pace ma anche di tutte quelle innumerevoli donne che si sono rese protagoniste di coraggiose resistenze non armate e di spontanee iniziative per contrastare le stragi di civili. Le donne sono portatrici di un talento naturale per l’impegno e la realizzazione dell’armonia, della convivenza pacifica degli uomini. Hanno uno sguardo inclusivo, quello del cuore, che sa andare oltre il dolore, che supera le tensioni senza farsi prendere dallo sconforto, che non si ferma davanti ai problemi. Hanno una capacità di subordinare, in caso di bisogno, i propri interessi a quelli di altre persone, di mettere al secondo posto i propri desideri e bisogni per realizzare quotidianamente e infondere la pace anche nelle piccole cose, senza istigare la lite ma cercando di risolvere i conflitti attingendo ai fatti. Una pace con una portata diversa e più ampia, non solo come ‘assenza di conflitto’ ma come condizione interiore di ogni persona, così da coinvolgere le famiglie, le diverse forme di aggregazione sociale, fino all’intera comunità, sociale e politica. Come scriveva Maria Montessori in La Pace e l’educazione già nel lontano 1932, per pace si intende generalmente la fine della guerra. Ma questo concetto, puramente negativo non è solo quello della pace. La pace vera fa pensare al trionfo della giustizia e dell’amore fra gli uomini: rivela l’esistenza di un mondo migliore dove regna l’armonia. “Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo”, l’epitaffio della Montessori.
Da anni la percentuale delle donne attive nei movimenti mondiali per la pace supera di gran lunga quella degli uomini, forse per il fatto che insieme con i bambini, in quanto i componenti più innocenti e indifesi della società, sono i primi a patire le conseguenze dei conflitti.
Le Donne peacekeepers, la chiave per la pace
Hanno il potenziale, riconosciuto dagli studiosi, per portare a una maggiore legittimazione delle forze, a una più efficace protezione della popolazione locale, ma anche ad una maggiore probabilità che, in primo luogo, venga commesso un minor numero di episodi di sfruttamento e abuso sessuale e crimini legati al genere e che, nel caso in cui invece questi atti si verifichino, un maggior numero venga segnalato. Le donne sono portatrici per loro natura di pace: questa loro funzione è stata riconosciuta il 31 ottobre 2000 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU che, rafforzando gli impegni derivanti dalla Convention on the elimination of all forms of discrimination against women (CEDAW), elaborata dalle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia il 10 giugno 1985, ha approvato all’unanimità la Risoluzione 1325 su ‘Donne, Pace e Sicurezza’. Il documento menziona esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne e ne sancisce il merito per il loro contributo nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole: non considera le donne solo in quanto vittime bensì come protagoniste essenziali dei processi di pace e di transizione. Quattro gli obiettivi: riconoscere il ruolo fondamentale delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti; prevedere una maggiore partecipazione nei processi di mantenimento della pace e della sicurezza nazionale; adottare una prospettiva di genere; formare il personale sui diritti delle donne. Gli Stati devono impegnarsi a riconoscere alle donne che vivono nelle zone di conflitto e post conflitto, il ruolo di mediatrici e costruttrici di pace che svolgono in ogni sfaccettatura dei processi di Pace: a livello politico (donne nei processi di mediazione e di pace), militare (donne soldato), di ricostruzione del Paese (nelle comunità di base o associazioni e ONG di donne), e a contrastare in maniera decisiva la violenza contro le donne sia da parte degli “eserciti amici” che di quelli che la usano come arma di guerra. L’adozione della Risoluzione ha lanciato un segnale forte a favore della partecipazione femminile ai processi di pace, ha affermato il ruolo delle Donne di costruttrici di una pace sostenibile È infatti ampiamente documentata la correlazione positiva tra la partecipazione sostanziale delle donne nei processi di pace e le probabilità di raggiungere un accordo inclusivo e duraturo.
L’Italia ha attivamente sostenuto la Risoluzione 1325 fin dalla sua adozione e dedica sforzi e risorse significative alla promozione della partecipazione delle donne ai processi di pace e di mediazione internazionale, lavorando in seno alla comunità Internazionale per l’attuazione dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza WPS e nell’ottobre 2017 è stato istituito il Network delle Donne Mediatrici del Mediterraneo. L’Italia inoltre è tra i pochissimi Paesi ad avere destinato finanziamenti pubblici all’attuazione del proprio Piano d’Azione Nazionale – 4 milioni di euro allocati dal Parlamento per il Terzo Piano d’Azione (2016-2020) – ed è impegnato nell’elaborazione del Quarto Piano. A seguire sono state adottate altre nove risoluzioni su donne, pace e sicurezza (1820, 1888, 1889, 1960, 2106, 2122, 2242, 2467, 2493) focalizzandosi, tra gli altri, sulla leadership femminile e la sua significativa partecipazione nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nel contesto di buoni uffici e negoziati di pace, nella diplomazia preventiva; sull’impatto della violenza sessuale; sulla formazione e rafforzamento delle capacità in tema di uguaglianza, pace e sicurezza del personale addetto al mantenimento della pace. Accanto alle Nazioni Unite, anche gli Stati membri e le organizzazioni regionali hanno la responsabilità di accrescere una partecipazione significativa delle donne nei processi di pace e stanno incrementando gli sforzi per accelerare i risultati che dimostrano un’implementazione trasformativa dell’agenda in materia di donne, pace e sicurezza. L’adozione della Risoluzione 1325 e quelle successive ha facilitato lo sviluppo dell’agenda in materia di ‘donne, pace e sicurezza’ (WPS) che è riuscita via via ad introdurre e rafforzare una cornice normativa finalizzata a promuovere la partecipazione attiva delle donne nei processi di risoluzione dei conflitti e nel mantenimento di una pace durevole. Oggi sono più di 90 i Paesi che hanno adottato dei Piani d’azione nazionali collegati all’Agenda. Lo sviluppo e l’implementazione costanti di piani d’azione nazionali efficaci in materia di donne, pace e sicurezza comprovano l’interesse degli Stati a mettere a terra azioni concrete per l’attuazione degli impegni assunti sul piano formale in termini di WPS così da facilitare una maggiore partecipazione delle donne a tutti i livelli dei processi decisionali nel contesto di istituzioni e meccanismi nazionali, regionali e internazionali attivi nella prevenzione e risoluzione dei conflitti.
In che modo la leadership femminile può essere benefica per la pace e la sicurezza?
In che modo le Donne e le reti di donne possono fare la differenza nelle relazioni internazionali?
Nel corso della storia le donne sono state protagoniste di coraggiose resistenze non armate e di innumerevoli spontanee iniziative per contrastare le inutili stragi di civili. Hanno mostrato una grande attitudine a reagire alle difficoltà mettendo in atto concrete azioni di resistenza, sostegno, protezione alle persone, anche più fragili. L’equa partecipazione delle donne ed il pieno coinvolgimento in tutti gli sforzi per il mantenimento e la promozione della pace e della sicurezza, quindi, è importante così come rafforzarne il loro ruolo nel processo decisionale in materia di prevenzione e risoluzione dei conflitti. Il peacekeeping e del peacebuilding al femminile si rivela fondamentale in situazioni di crisi o forte instabilità. Nelle attività di mediazione internazionale e risoluzione dei conflitti si guarda al fattore femminile sia nel contesto della diplomazia, sia nelle stesse situazioni locali in cui le donne si trovano direttamente coinvolte.
La partecipazione piena, giusta e significativa delle donne alle soluzioni politiche e ai processi di Pace è essenziale per un suo efficace mantenimento.
Rappresentano un fattore di cambiamento e una leva quando si elaborano le politiche di cooperazione e di aiuto. Il G20 ha riconosciuto la rilevanza internazionale dell’empowerment femminile: un profondo cambio globale di paradigma nei processi decisionali per la creazione di network di Donne anche a livello politico, diplomatico e di governance. Sono gli studi a confermare che una prospettiva di genere nei conflitti ha il potenziale per portare a un ampliamento delle forme di violenza che vengono prese in considerazione e può portare allo sviluppo di differenti tattiche nell’ambito dello stesso conflitto. Inoltre, le donne possono fornire competenze e punti di vista specifici e, ad esempio, interagire non solo con le donne locali, assicurando in questo modo l’instaurazione di un rapporto con la comunità ed anche la protezione stessa delle truppe sul terreno, ma anche con intere popolazioni e in aree a cui le unità esclusivamente maschili non avrebbero accesso. Inoltre, le donne, nel compito di ufficiali di collegamento, potrebbero facilitare i contatti con le organizzazioni umanitarie. La Risoluzione 1325 ha contribuito ad aumentare la partecipazione delle donne, aprendo dibattiti e ispirando movimenti civili, oltre ad integrare una prospettiva di genere nei processi di pace, sottolineando la necessità che questi processi siano veramente e profondamente inclusivi. Affinchè le priorità delle donne siano centrali per le decisioni di Pace e sicurezza a tutti i livelli occorre tuttavia abbattere le barriere sociali, culturali e politiche che limitano la piena partecipazione delle donne al raggiungimento e al sostegno della pace. Sotto tale profilo c’è ancora molta strada da percorrere. Le donne sono spesso escluse dai tavoli dei negoziati (solo il 3% dei mediatori nei negoziati di pace svoltisi tra il 1998 e il 2018 erano donne). Nel 2020, a vent’anni dalla Risoluzione dell’ONU 1325, è stata ribadita dalle istituzioni l’esigenza di riconoscere il ruolo fondamentale delle donne nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti e della loro maggiore partecipazione nei processi di mantenimento della pace e della sicurezza nazionale adottando una prospettiva di genere che consideri i bisogni specifici delle donne e delle ragazze durante i conflitti e nelle fasi successive di ricostruzione post bellica.
‘Women as Key actors’ per il mantenimento della Pace e della sicurezza: la parità di genere è uno dei principi guida per la messa in atto di un nuovo paradigma nelle relazioni estere, nella cooperazione e nell’assistenza umanitaria.
Un diritto delle donne, prima ancora che un loro dovere e una responsabilità, quello di intervenire e partecipare in modo pieno e paritetico affinché i conflitti vengano evitati e si promuovano la Pace e la sicurezza.
Un impregno chiave che, tuttavia, è imprescindibilmente collegato e connesso ad una loro significativa e concreta partecipazione, a tutti i livelli, alla vita politica ed istituzionale. Un modo ‘diverso’ di fare politica e di affrontare i problemi comuni ai Paesi raccogliendo, attraverso le reti di donne, le esperienze e le opinioni dei diversi attori locali e internazionali.
Paola Francesca Cavallero