Troppo spesso tornano nel nostro Paese, in maniera neanche troppo nascosta, i tentativi di indebolire il ruolo della contrattazione collettiva, celandosi dietro una legittima battaglia ai contratti pirata. A questo si affianca il ripetuto tentativo di voler definire per legge la rappresentatività delle parti sociali, andando di fatto contro la nostra Costituzione. L’Italia rispetto alla maggior parte dei Paesi europei vanta una contrattazione collettiva di altissimo profilo, superando di oltre il 70 per cento i settori lavorativi che sono tutelati e disciplinati dalla contrattazione collettiva. Quello della contrattazione collettiva e della sua applicazione nel nostro Paese è un vero e proprio patrimonio che non può e non deve essere messo a rischio per correre dietro ad un approccio che potremmo definire soltanto ideologico e che andrebbe a creare delle crepe insostenibili nella tenuta del nostro mondo del lavoro. Si parla di premere per inserire il salario minimo, ma dobbiamo fare attenzione perché questo andrebbe a far superare il ruolo della contrattazione collettiva ed allo stesso tempo darebbe maggiore discrezionalità ai datori di lavoro nel decidere individualmente il “di più” da dare ai singoli lavoratori, mettendoli di fatto in una situazione di assoluta “dipendenza” e calpestando la “giustizia sociale”. In questi giorni si torna anche a parlare di quale ruolo potrebbe avere lo stesso CNEL in questo campo, e sono d’accordo nel ritenere che possa essere individuato come il soggetto chiamato a certificare la congruità dei contratti e non solo ad assolvere l’attuale compito di esser soltanto il depositario ed il tenutario dei tanti contratti collettivi che vengono sottoscritti dalle parti sociali. Non dobbiamo non tenere conto che il proliferare di nuovi contratti non è necessariamente volontà di andare contro le regole, ma anzi spesso e volentieri è un chiaro bisogno per meglio disciplinare le nuove esigenze del mondo produttivo che non sempre possono trovare soddisfazione nei tradizionali contratti collettivi nazionali siglati dalle principali associazioni di rappresentanza. Il modello lavorativo degli anni del dopoguerra, con le grandi fabbriche e la produzione fatta al loro interno, è profondamente cambiato nel tempo, ed oggi assistiamo ad una grande esternalizzazione e parcellizzazione dei cicli produttivi, che portano necessariamente a dover ripensare anche le “regole del gioco” perché quelle tradizionali sono oramai anacronistiche e spesso non più attuabili. Serve meglio disciplinare le regole applicabili al mondo produttivo, che sempre più si fonda su realtà aziendali piccole e micro. Si dovrebbe, questo sì, porre di più l’attenzione al fatto che non si faccia dumping contrattuale e che vengano garantiti quei principi fondamentali sui luoghi di lavoro per quanto riguarda le retribuzioni e la sicurezza. Basta battaglie ideologiche, dobbiamo guardare al presente, partendo dal passato, per migliorare il nostro futuro.
Leonardo Maiolica
Presidente SILPA