“L’analisi dell’amministrazione della giustizia in Italia mostra, come del resto il Paese nel suo complesso, un quadro in chiaroscuro”, si legge nella Relazione del Primo Presidente della Cassazione, dott. Pietro Curzio, per la solenne Cerimonia di Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2022 svoltasi il 21 gennaio in Cassazione alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e dei rappresentanti del Governo e delle Istituzioni.
Un momento di dialogo e di seria riflessione in cui, accanto al rigoroso rendiconto delle azioni passate e all’analisi pragmatica del presente, si è prefigurato anche l’impegno e il progetto per il futuro a beneficio di tutti i cittadini. Un work in progress di rilievo e prestigio per i protagonisti della vita giudiziaria e delle istituzioni coinvolti, per trasformare l’emergenza in opportunità, per costruire una Giustizia solida, efficiente ed efficace. In questa cornice il PNRR è l’occasione anche per affrontare alla radice il problema dell’efficienza della Giustizia civile e penale, in un comune impegno verso una progettualità autentica, efficiente, globale per una riorganizzazione del ‘sistema’ in termini di razionalizzazione e realizzazione degli obiettivi di riforma ordinamentale, processuale e sostanziale. Il recente sviluppo di nuove applicazioni delle risorse informatiche disponibili, adottate per assicurare la funzionalità degli uffici, e la digitalizzazione della Giustizia sono fondamentali per aumentare l’efficienza organizzativa e gestionale dei sistemi giudiziari e costituiscono un naturale strumento per migliorare e facilitarne l’accesso. Il concorso di tante e positive energie consente di guardare al futuro con ragionevole ottimismo. Nell’intervento di apertura il Primo Presidente ha sottolineato come “i dati riportati nella parte analitica della relazione evidenziano criticità e segni di miglioramento. Nel settore civile nell’ultimo anno vi è stato un incremento delle definizioni dei processi rispetto all’anno precedente. (…) Il maggior numero di definizioni rispetto all’incremento delle nuove iscrizioni comporta che le pendenze sono diminuite del 6,5% in confronto all’anno precedente (…). È un dato sicuramente positivo soprattutto se si considera che dieci anni fa le cause civili pendenti superavano i 5 milioni. Ma i tempi di definizione dei processi rimangono troppo elevati. La situazione della giustizia penale è in parte analoga: la durata dei processi è generalmente in crescita anche se in misura non univoca tra i diversi uffici giudiziari. (…) La riduzione delle iscrizioni dei reati è un dato di non univoca valutazione: nel complesso indica un miglioramento della convivenza civile nel nostro paese”. “Il quadro in chiaroscuro che si è succintamente delineato, evidenziando accanto a elementi fortemente critici anche profili positivi, consente di dare senso e prospettive ad un impegno costruttivo”, rimarca il Primo Presidente: “letture di segno univocamente negativo, oltre a non essere veritiere, inducono a considerare immodificabile la situazione, legittimando atteggiamenti inerti e rinunciatari. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da continui interventi legislativi sulla giustizia, ma quasi sempre a costo zero. Oggi, nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), si colloca una pluralità di riforme, già avviate o in corso di elaborazione (…). Si tratta di innovazioni essenziali, che non esauriscono però i problemi di un percorso nel quale la legislazione delegata costituisce il passaggio più complesso e delicato, il vero fulcro del cambiamento. Si coglie nel Governo piena consapevolezza di quanto la fase concretamente attuativa delle riforme sia decisiva. A nostra volta siamo consapevoli di come sia decisivo il modo in cui la magistratura, per quanto di sua competenza, saprà applicare le nuove norme ed impiegare al meglio le risorse disponibili”. Il plauso corale a coloro che contribuiscono a rendere realizzabile un’inversione di rotta dell’attività giudiziaria non può, tuttavia, eludere la necessità di una riflessione: “I reati nel 2021 sono leggermente cresciuti rispetto al 2020, anno di forte calo a causa della pandemia, ma si sono ridotti del 12,6% rispetto ad un anno “normale” quale il 2019 (…) Nel complesso, invece, i reati predatori sono in calo e le considerazioni più incoraggianti sullo stato della nostra convivenza derivano dai dati sugli omicidi. Nel 2021 in Italia sono stati commessi 295 omicidi volontari (Fonte: Ministero dell’interno, Dipartimento della Pubblica sicurezza, Direzione centrale della Polizia criminale, Report del 3 gennaio 2022). È uno dei dati migliori tra i paesi europei, che a loro volta offrono i dati migliori nel mondo. (…) Vi è però un elemento sconcertante: tra le vittime dei 295 omicidi del 2021, 118 sono donne, di cui 102 assassinate in ambito familiare/affettivo ed in particolare 70 per mano del partner o ex partner. Questo tipo di suddivisione è costante negli ultimi anni, si inquadra in un preoccupante incremento dei reati all’interno della famiglia ed è sintomo evidente di una tensione irrisolta nei rapporti di genere, di un’uguaglianza non metabolizzata. Anche su questo tema vi è un forte impegno dello Stato a cominciare dal Parlamento, impegno che richiede agli inquirenti attenzione e reattività, cui deve seguire severità in sede di applicazione della legge. Ma la risposta repressiva non può raggiungere le cause di un malessere profondo che la società deve affrontare in una dimensione più ampia, a cominciare dai luoghi di formazione della personalità”. Il grande lavoro svolto dalla Suprema Corte nell’anno appena decorso è testimoniato dalla ‘Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2021 ove nelle 308 pagine vengono esposte le principali linee su cui si è mossa l’attività dei giudici e le loro pronunce. Nel passare in rassegna quelle relative a “Le relazioni familiari. Diritti. Violenza di genere”, il dott. Curzio ha rammentato l’attenzione riservata dal legislatore e dei magistrati sui dilaganti casi di violenza di genere di tipo persecutorio che riempiono le cronache degli organi di informazione, specie quando culminano nel più efferato dei delitti contro la stessa vittima. Stante il disvalore di simili condotte, la giurisprudenza della Corte ha riconosciuto la pari dignità di ogni forma di convivenza, della sua centralità quale condizione indispensabile per la costruzione e lo sviluppo dei rapporti familiari, da cui scaturiscono vincoli affettivi, di condivisione di vita, di solidarietà e aspettative di assistenza oggetto di maltrattamenti e atti persecutori. Ciò al fine “di far operare, in favore di componenti la famiglia di fatto, singole posizioni soggettive meritevoli di tutela analogamente a quelle proprie dei membri della famiglia legittima (…) soprattutto, con l’evoluzione degli orientamenti di legittimità in merito ai presupposti di configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, statuendo che sono da considerare persone della famiglia anche i componenti della famiglia di fatto”.
“A fronte di un numero estremamente esiguo di donne che denunciano i maltrattamenti del partner, il pubblico ministero può assumere un ruolo chiave per ‘leggere’, in sede civile, gli indicatori della violenza consumata nel silenzio delle mura domestiche e attivare gli anticorpi del sistema per la protezione delle vittime. Lo stesso legislatore, del resto, nel varare il ‘Codice Rosso’, all’art. 64 bis disp. att. c.p.c. ha previsto la trasmissione obbligatoria dei provvedimenti penali al giudice civile ‘ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all’esercizio della responsabilità genitoriale’. Occorre realizzare la riduzione dei tempi e della durata dei procedimenti attraverso specifici e mirati interventi di carattere organizzativo. In quest’ottica, un elemento di forte criticità è rappresentato dall’assenza di statistiche di genere”. Parole ferme e forti anche dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dott. Giovanni Salvi, che ha sottolineato come a distanza di dieci anni dalla sua sottoscrizione sia ancora lontano il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Convenzione di Istanbul “se è vero, come attestano i dati statistici evidenziati, che il fenomeno della violenza di genere non accenna a diminuire, nonostante una legislazione sempre più severa e una magistratura sempre più attenta. Un dato allarmante è emerso con nettezza dalle più recenti rilevazioni statistiche (Relazione del 18.11.2021 della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere, istituita con deliberazione del Senato della Repubblica del 16 ottobre 2018), ovvero che solo il 15% delle vittime di femminicidio aveva denunciato precedenti violenze, mentre il ben più cospicuo 85% risulta non aver mai sporto denuncia/querela”. Il che rende evidente che “se in caso di denuncia occorre “affinare” il sistema cautelare, per il restante 85% occorre “rafforzare” e rendere effettivo il rapporto delle vittime con i centri anti-violenza, intensificando la rete di prossimità. È poi indispensabile che sia resa maggiormente efficiente la rilevanza delle “spie” di violenza, nell’intera rete in cui esse possono manifestarsi con largo anticipo, dal sistema sanitario alle scuole, ai servizi sociali. In questa direzione vanno i protocolli di diverse Procure della Repubblica, volti a realizzare sinergie con tutti i soggetti che vengono stabilmente a contatto con situazioni rivelatrici di possibili violenze”.
È accorata, puntuale e lucida l’analisi contenuta nella Relazione di apertura del nuovo anno giudiziario in tema di “La protezione delle vittime di violenza di genere e domestica. Lo stato di attuazione del c.d. “codice rosso” (pagg. 88-98). I dati confermano che mentre gli omicidi volontari sono diminuiti costantemente anche nel triennio 2018/2020 “gli omicidi contro le donne hanno subito un calo tendenziale, ma in misura molto meno significativa comportando”, secondo quanto riferito dal Ministero dell’Interno, “un forte incremento percentuale di tali casi rispetto al numero totale”. “Anche per quanto riguarda le altre fattispecie di reato sintomatiche della violenza di genere e domestica va detto che i dati altalenanti che nel 2020 – alla verifica del primo anno di applicazione del codice rosso”, commenta il PG “avevano fatto ben sperare in un trend positivo si sono disvelati altamente influenzati dalle misure di contenimento della pandemia da Covid-19: di minore consistenza nel regime di lockdown, sono esplosi in maniera prepotente con il venir meno delle restrizioni nel periodo estivo, caratterizzati, infine, da una leggera flessione con l’adozione di restrizioni diversificate per realtà territoriali, nel successivo autunno/inverno”. “È innegabile che la difficoltà a riconoscere la violenza nelle relazioni intime, spesso quale diretta conseguenza della mancanza di strumenti, innanzitutto culturali, per leggere il complesso fenomeno della violenza di genere e per disinnescare gli stereotipi che ancora vedono i legami familiari fondati sulla naturale sottomissione delle donne a precisi ruoli di genere, rischia di avere drammatiche ripercussioni sul piano della prevenzione. Da ciò la conseguenza”, punto sul quale il Procuratore Generale accende l’attenzione, “che, in realtà, la gravità e la persistenza del fenomeno, più che significative di inefficacia del sistema normativo o giudiziario, risiedono in una “immaturità” culturale che, palesando atteggiamenti discriminatori diffusi (prevalentemente di genere) e dinamiche relazionali viziate, rende sempre più impellente lo stabile innesco di una virtuosa collaborazione tra tutti gli operatori coinvolti (le diverse autorità giudiziarie, le forze di polizia, gli assistenti socio-sanitari) ai fini del raggiungimento degli obiettivi della riforma del 2019. Inoltre, va praticato il coordinamento di tutti i soggetti coinvolti nel contrasto alla violenza di genere e tra tutte le autorità giudiziarie procedenti. Sotto il primo profilo, appare necessario che la magistratura operi in sinergia con le autorità amministrative, ASL, centri antiviolenza, case-famiglia e case-rifugio presenti sul territorio di riferimento”. Ed è questa l’ottica in cui si muovono le Procure della Repubblica non solo attraverso la formazione di gruppi di lavoro specializzati ma, altresì, con l’adozione di specifici protocolli operativi, attraverso lo scambio di informazioni tra Procura e Tribunale. Come mette in evidenza la Relazione, a fronte di un numero estremamente esiguo di donne che denunciano i maltrattamenti del partner il PM può assumere un ruolo chiave per “leggere”, in sede civile, gli indicatori della violenza consumata nel silenzio delle mura domestiche e attivare gli anticorpi del sistema per la protezione delle vittime. “Pur nella perdurante drammaticità del fenomeno della violenza di genere, quale sopra descritto, l’esame dell’attività complessivamente svolta dalle Procure della Repubblica nell’anno 2021”, osserva il dott. Salvi, “fornisce un quadro d’insieme che restituisce l’immagine di una magistratura requirente sempre più consapevole della necessità di compiere un “salto di qualità” che consenta di riconoscere, prevenire e punire la violenza contro le donne attraverso l’adozione di strumenti di contrasto ed organizzativi più tempestivi ed efficaci. È emerso, infatti, come gli uffici di Procura abbiano affinato le procedure e i moduli organizzativi già in essere, al fine di garantire la massima tempestività ed efficacia nella trattazione dei relativi procedimenti, in particolare: a) prevedendo e garantendo l’iscrizione prioritaria di dette notizie di reato; b) istituendo, nella gran parte degli Uffici, gruppi di lavoro specializzati sia dei magistrati che della polizia giudiziaria; c) adottando o aggiornando protocolli operativi al fine di orientare le modalità di primo intervento, di predisporre specifiche modalità per l’ascolto delle vittime (anche per evitare la cd. vittimizzazione secondaria), e per meglio disciplinare lo scambio di informazioni tra Procura e Tribunale ai sensi dell’art. 64 bis disp att. cod.proc.pen. (realizzato, ad esempio, incaricando i pubblici ministeri addetti alla materia in esame di seguire anche gli affari civili o predisponendo “cartelle condivise” idonee a consentire la conoscenza immediata e in tempo reale di situazioni di rilievo, anche pregresse); d) operando in sinergia con le autorità amministrative, ASL, centri antiviolenza, case-famiglia e case-rifugio presenti sul territorio”. Da qui, sottolinea il dott. Salvi, la necessità di una formazione specializzata e permanente degli operatori del diritto, nessuno escluso, onde superare le più evidenti criticità emerse, ovvero la sottovalutazione delle situazioni di rischio per l’incolumità delle donne che denunciano e la tendenza ad assimilare la violenza domestica al conflitto.
Paola Francesca Cavallero