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7 Ottobre 2024
Primo Piano

Recovery Fund per la riqualificazione del Sud

intervista a Onorevole Paxia

Il PNRR rappresenta un’opportunità unica per il nostro Paese, un vero e proprio Piano Marshall con cui si può riequilibrare il Paese e superare lo storico divario tra Sud e Nord. Il direttore Massimo Maria Amorosini intervista Maria Laura Paxia, parlamentare eletta con il Movimento 5 Stelle, che alla Camera ha espresso la sua preoccupazione per il futuro del Mezzogiorno del Paese astenendosi dalla fiducia al Governo Draghi e per questo è stata espulsa dal Movimento.

Onorevole Paxia, lei è una parlamentare del sud, siciliana di Catania. Non ha paura che il nuovo esecutivo a guida Draghi possa essere un governo a trazione nord e con il baricentro molto lontano dal sud?
La mia preoccupazione nasce a causa dei nuovi equilibri che si sono venuti a creare al Governo, dove il M5s è minoranza in maggioranza; ho il timore di vedere sfumare quel progetto di riqualificazione di un Sud martoriato, che adesso ha terribilmente bisogno delle risorse del Recovery Fund per ripartire e dare così un importante contributo all’economia di tutto il nostro Paese; proprio per questo motivo ho dichiarato, durante il voto di fiducia al Governo Draghi, che il mio sostegno al Governo sarà puntuale e volto a valutare ogni singolo provvedimento.

Il Pnrr rappresenta un’opportunità unica per il nostro Paese e da tanti viene paragonato al Piano Marshall, l’European Recovery Program messo in campo dagli americani per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale. Non sarebbe opportuno garantire maggiori interventi in quelle aree del Mezzogiorno che hanno maggiore necessità di trasformazione e quindi di sviluppo?
A differenza del piano Marshall, in cui si stabilì che fosse più importante sostenere la ripresa del sistema socio economico del Nord, in base ad un criterio basato esclusivamente sul dato popolazione e dunque al Sud, martoriato dalla guerra, giunsero solo il 13% di risorse, i 209 miliardi del Recovery Fund che l’Europa ha destinato all’Italia, tiene conto, ai fini della distribuzione di queste importantissime risorse, di due diversi fattori ben delineati ovvero il dato dell’inverso del PIL pro-capite e la media disoccupazione degli ultimi 5 anni.
Dunque una fetta consistente di queste disponibilità dovrà servire a colmare il gap infrastrutturale, economico e sociale tra il Mezzogiorno e la restante parte del Paese nel contesto delle Politiche di Coesione UE.

Secondo lei può esserci un reale sviluppo senza un riequilibrio del Paese ed il superamento dello storico divario tra Sud e Nord?
Credo che il Paese abbia bisogno di trovare un reale e forte equilibrio che può essere realizzato solo riportando il Sud allo stesso livello del Nord in ordine a infrastrutture, trasporti, istruzione, sanità e mobilità.
Si consideri che, nel Mezzogiorno, gli investimenti pubblici in rapporto alla popolazione sono risultati sistematicamente inferiori rispetto al Centro Nord, la dotazione di infrastrutture al Sud è anch’essa inferiore a quella del Centro Nord in termini sia quantitativi sia qualitativi. Il potenziamento, ad esempio, delle infrastrutture, appare fondamentale per far accrescere l’interconnessione con le altre regioni italiane, con l’Europa, con il Mediterraneo, per aumentare il potenziale di mercato del Mezzogiorno, rendendo quest’ultimo attraente per i capitali privati, l’attività d’impresa, i flussi turistici. Ragionando in termini economici dobbiamo tenere conto che un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1 per cento del suo PIL per un decennio, avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana; dunque l’economia del Centro Nord ne beneficerebbe per via della maggiore domanda nel Mezzogiorno e dell’integrazione commerciale e produttiva tra le due aree.

Alcuni affermano che per far ripartire l’economia è meglio concentrare risorse e futuri investimenti nel nord produttivo dell’Italia, per farne ancora una volta il motore del Paese. Come si sente di rispondere?
I dati economici, gli studi condotti dalla Banca d’Italia ci danno contezza che il Mezzogiorno rappresenta il problema irrisolto dell’economia italiana. Se non riusciremo a portare il Mezzogiorno su un sentiero di crescita robusto e duraturo non ci potrà essere vero progresso per l’Italia. È un obbligo che dobbiamo assumerci verso un terzo dei cittadini italiani, cui vanno garantiti servizi adeguati, diritti, opportunità, ma è anche un problema per tutta l’economia nazionale: un Mezzogiorno stagnante comprime il mercato domestico, a danno anche dell’economia del Centro Nord.

Durante il suo discorso alle Camere, il premier Draghi in un passaggio sul Mezzogiorno ha affermato che per attrarre investimenti privati, nazionali e internazionali, occorre garantire legalità e sicurezza. Quanto bisogna lavorare sulle amministrazioni pubbliche meridionali per rafforzarle, buttandosi alle spalle esperienze di un passato che spesso hanno deluso, per utilizzare al meglio gli investimenti dedicati che arrivano dal Next Generation EU?
È sicuramente necessario migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della Pubblica Amministrazione.
Le parole d’ordine sono legalità e trasparenza per cui bisogna ripartire da riforme radicali e sistematiche degli apparati e del loro funzionamento, dalla Pubblica Amministrazione, alla Giustizia, al Codice degli appalti, puntando alla riduzione degli squilibri macroeconomici, alla promozione della transizione al verde e alla trasformazione digitale.

Il Sud ha moltissime risorse inespresse, tante storie di sprechi, di restituzione di contributi europei non spesi o non utilizzati per incapacità o inerzia, storie di malaffare e di criminalità organizzata e, non per ultima, una cultura della rassegnazione. Non basta proprio questo per far capire al Governo che proprio qui devono essere indirizzati i propri sforzi?
Come ho già accennato, l’Italia ha ottenuto i 209 miliardi del Recovery Fund in primis perché la Commissione ha riconosciuto come il divario Nord-Sud sia un punto critico per l’economia nazionale e, quindi, ha posto lo sviluppo del Mezzogiorno come prima condizione per l’utilizzo dei fondi.
Il Governo dal canto suo ha precisato che i fondi destinati al Sud nei prossimi anni saranno più che sufficienti in quanto dobbiamo anche considerare il Piano Sud 2030 e la programmazione dei fondi strutturali 2021/2027.
Dunque, il problema sembrerebbe non stare tanto nella quantità dei fondi messi a disposizione del Sud, quanto nella qualità dei progetti anche rispetto agli effetti che produrranno. Diventa fondamentale curare non solo il supporto alla progettazione quanto il monitoraggio sul corretto utilizzo delle risorse. Bisognerà coniugare al futuro questo intervento straordinario che non a caso si chiama Next Generation.

Massimo Maria Amorosini

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