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18 Febbraio 2025
Primo Piano

Reddito di libertà per le donne vittime di violenza tra tutela e occupazione

Le proposte e azioni in campo

L’introduzione del Reddito di libertà per le donne vittime di violenza e in difficoltà economica – previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio del 17 dicembre 2020, in attuazione del cd. Decreto Rilancio e cristallizzato con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 172 del 20 luglio 2021 – è un importante strumento di welfare e di civiltà. Il momento storico, infatti, è quello della pandemia che ha visto crescere in maniera esponenziale, anche per via delle restrizioni sanitarie, i comportamenti anche violenti tra le mura domestiche in quella che è stata definita una emergenza nell’emergenza. Le Nazioni Unite, attraverso UN WOMEN, che è l’ente per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, parla di emergenza-ombra legata alla pandemia (shadow pandemic) o di una crisi nascosta (shadow crisis). Una emergenza che colpisce non solo le donne ma anche i minori che vivono nelle situazioni di violenza e che ha un effetto domino ampio sino a coinvolgere interi gruppi di popolazione appartenenti a categorie vulnerabili, quali le donne straniere e con disabilità. L’ISTAT nel novembre 2021 – applicando la metodologia e le raccomandazioni della Conferenza degli Statistici europei contenute nelle linee guida predisposte da UNECE and UNWOMEN per la misurazione della violenza di genere durante la pandemia – ha pubblicato un Rapporto, L’EFFETTO DELLA PANDEMIA SULLA VIOLENZA DI GENERE Anno 2020-2021. Nel Report sono stati incrociati e rielaborati i dati provenienti dalla Rilevazione sulle utenti dei Centri antiviolenza (CAV), dalle chiamate al 1522, dalle denunce alle Forze di Polizia e Omicidi del Ministero dell’Interno, al fine sia di avere una fotografia dell’esistente sia di valutare alcuni aspetti rilevanti della risposta del sistema della protezione e del contrasto della violenza di genere, e nel caso proporre interventi mirati. Dal Rapporto emergono diversi dati disaggregati, tuttavia, quello più preoccupante sul versante del “genere” riguarda la “sicurezza” delle donne tra le mura domestiche e porta a rilevare che “La casa è un ambiente sicuro soltanto per gli uomini”. Da citati dati, infatti, emerge che «La maggior parte delle donne (77,6%) nel 2020 è stata uccisa da un partner o da un parente (dato stabile nel tempo), ma nei mesi di marzo e aprile 2020 questa percentuale ha raggiunto rispettivamente il 90,9% e l’85,7%». Al contempo mentre gli uomini sono di rado vittime della partner (quasi mai delle ex) e la modalità più ricorrente è quella dell’autore sconosciuto alla vittima (nel 45,3% dei casi), il «57,7% delle donne è stata uccisa all’interno della relazione di coppia e il 25,9% nell’ambito delle relazioni parentali», quindi per motivi passionali.
Da tale preoccupante scenario è emersa la necessità, da parte dell’ISTAT e alla luce dell’Accordo con il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, di condurre nella primavera del 2022 una nuova edizione dell’Indagine sulla “sicurezza delle donne”. Un tema, quindi, sul quale non si può abbassare la guardia ma occorre tenere sempre puntati i riflettori. Il reddito di dignità si sostanzia in un contributo di 400 euro mensili erogato per dodici mensilità per donne vittime di violenza, sole o con figli minori, e seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali nell’ambito dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Le destinatarie sono le donne residenti nel territorio italiano che siano cittadine italiane o comunitarie oppure, in caso di cittadine di Stato extracomunitario il requisito è che siano in possesso di regolare permesso di soggiorno. Alle cittadine italiane sono equiparate le straniere aventi lo status di rifugiate politiche o lo status di protezione sussidiaria. La ratio della misura è sostenere «prioritariamente le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale nonché il percorso scolastico e formativo dei / delle figli / figlie minori» in un percorso che vede le Regioni e Province Autonome parte attiva considerato che le risorse del “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza” (nell’ambito del già attivo “Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità” incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) sono ripartite tra le stesse in base ai dati ISTAT al 1° gennaio 2020, riferiti alla popolazione femminile residente in ciascun comune e appartenente alla fascia di età 18 – 67 anni. Sul punto l’INPS con la circolare n. 166 dell’8 novembre 2021 è intervenuta per chiarimenti sulla funzionalità della procedura, sul regime fiscale e la compatibilità con le altre misure di sostegno nonché per fornire istruzioni contabili. Un ulteriore e importante aspetto da non dimenticare, tuttavia, è quello dell’occupazione delle donne vittime di violenza. In merito alla Camera a novembre 2021 è stata calendarizzata la proposta di legge presentata dalla vicepresidente della Camera, Maria Edera Spadoni che prevede un ampliamento delle cosiddette categorie protette, ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro. Nel dettaglio il provvedimento presentato a Montecitorio prevede di modificare l’articolo 18 della legge del 12 marzo 1999 per consentire che le donne le quali abbiano subito violenze, e siano già inserite nel percorso di protezione e di assistenza dai servizi sociali, possano rientrare nelle categorie protette. La normativa vigente prevede per le aziende da 51 a 150 dipendenti l’assunzione di un lavoratore appartenente alle categorie protette; mentre la quota è pari all’1% per le aziende con più di 151 dipendenti. Ad oggi l’iter parlamentare è in corso e la proposta di legge, nella trattazione, è abbinata ad altre due proposte presentate (C. 1458, C. 1791) e sono in corso le audizioni. Il Piano nazionale anti violenza per il 2021-23, presentato dalla ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti – e che si basa su quattro assi: la prevenzione, la protezione e il sostegno delle vittime, la punizione dei colpevoli e l’assistenza e promozione – include l’attivazione di percorsi di empowerment economico, finanziario, lavorativo e di autonomia abitativa al fine di superare, altresì, la violenza “economica” anche attraverso lo strumento del microcredito di libertà e dei contributi per il supporto al lavoro autonomo femminile. La strada è in salita e non possiamo perdere le opportunità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. È centrale rimettere al centro dell’Agenda politica il tema dell’occupazione femminile nel solco di una programmazione strutturata che tenga le fila delle diverse problematiche legate al genere e in una visione strategica di medio e lungo periodo che punti al coinvolgimento, in ottica di partecipazione, di tutte le parti sociali, delle diverse articolazioni della società civile, del mondo associativo datoriale e del Terzo settore. Una azione sinergica che miri a porre in essere azioni puntuali e concrete senza trascurare una azione coordinata e condivisa con le Regioni, anche con il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni per rafforzare la coesione sociale, economica e territoriale.

Roberta Caragnano
Prof.ssa Diritto delle Politiche Sociali e del Lavoro,
Università LUMSA

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