La videoarte è un mondo tutto da scoprire, che porta lo spettatore verso una fruizione attiva dello spazio museale. Le opere video sono come un montaggio che mette in relazione semiotica le altre opere d’arte di pittura, scultura, fotografia, cinema e altri linguaggi. Il video ha una funzione educativa e porta lo spettatore a diventare più sensibile verso tematiche sociali, ecologiche e altre problematiche umanitarie. L’opera di videoarte non deve essere necessariamente un capolavoro ma deve aiutare lo spettatore a sentire attraverso i sensi. L’aspetto visivo è importante ma è altrettanto fondamentale imparare a sentire attraverso il corpo. Solo così possiamo imparare a scoprire l’infinita varietà del mondo. Il panorama dei video artisti italiani oggi è molto variegato, vi sono soprattutto molti giovani talenti. Abbiamo un arcipelago di opere che testimoniano quanto ancora oggi la sperimentazione artistica video sia molto attiva e vitale. Il ruolo del video artista è molto importante perché vuole aprire la mente dello spettatore, facendogli prendere coscienza dei valori di coesione sociale dell’arte. Per fare questo il nuovo performing artist si avvicina molto al linguaggio dei media (computer, televisione) sperimentando le nuove tecniche del digitale e oggi anche dell’intelligenza artificiale, attraverso sofisticati effetti visivi porta lo spettatore verso la conoscenza della realtà e di una sub-realtà che l’occhio umano ignora. Il linguaggio dei video artisti è spesso molto forte e concreto e porta lo spettatore a fare esperienza del reale con tutti i suoi sensi. L’opera di videoarte diventa una sorta di “Odissea” di immagini, suoni, sensazioni ed emozioni che sviluppano la mente dell’osservatore creando valori. Gli effetti speciali non hanno più come fine la manipolazione della mente dello spettatore ma lo sviluppo della sua coscienza. La videoarte valorizza l’uomo e le sue potenzialità mentali. L’essere umano è una cosa che sente ed è libero di perfezionare sé stesso attraverso tutte le possibilità di espressione artistica. In un’epoca dominata da mondi artificiali l’uomo può ancora intervenire e agire nel mondo reale creando delle opere concrete e raffinate. La videoarte segue il pensiero postmoderno e come questo accetta le sfide della complessità, della pluralità dell’intersecarsi continuo degli orizzonti prodotto dalle nuove tecnologie della comunicazione e che in base a ciò riscrive i criteri dell’identificazione e dell’identità, ridisegna gli spazi del sociale e si avventura rischiosamente nei nuovi territori di frontiera tra etica e tecnica, politica e mercato, cultura e produzione industriale. È difficile riuscire a tracciare un itinerario, un percorso definito della videoarte italiana contemporanea perché tanti sono gli autori che si esprimono attraverso le video installazioni. Molti sono dei talenti, altri sono meno noti e poi abbiamo dei dilettanti che tentano di esprimersi in modo molto rudimentale. Vi sono anche dei video artisti di fama internazionale come Bill Viola, Marina Abramovic, Nam June Paik. Nel panorama italiano spiccano grandi talenti come Alessandro Amaducci, Fabrizio Plessi e lo Studio Azzurro. Possiamo definire il panorama artistico italiano come un immenso arcipelago di autori e la videoarte come una galassia di autori e linguaggi in continuo divenire. Il linguaggio del video artista è multiforme e multietnico, interculturale. Il suo fine principale è quello di costruire la fratellanza e la pace fra i popoli. Voglio arricchire la descrizione dell’universo videoarte riportando di seguito la prefazione di Luigi Silvi, (studioso ed esperto dell’interdisciplinarietà delle arti) al mio saggio sull’arte contemporanea e il cinema: “Rapporti, contaminazione, interazione tra arti visive e cinema risalgono agli albori del cinema stesso e in particolare all’utilizzo che di questo media fecero le avanguardie storiche. Il rapporto arte-cinema presenta diversi aspetti, tanto che su questo tema sono stati redatti miriadi di saggi e fiumi d’inchiostro. Il cinema infatti ha svariate possibilità di incontro con le arti visive: dai documentari su un artista o su una sua opera, dalle biografie sull’artista stesso, o su gruppi o movimenti, fino all’utilizzo del medium stesso da parte degli operatori del visivo a fini estetici. Il cinema diventa strumento di arte visiva: si vedano in tal senso le produzioni delle avanguardie storiche – Futurismo, Cubismo, Dada, Surrealismo ed Espressionismo -, nonché tutto l’articolato e complesso mondo dell’avanguardia russa e successivamente quello delle neoavanguardie. Gli autori d’arte possono diventare autori di cinema, oppure firmare le scenografie o parte di esse, o in campo sperimentale intervenire direttamente sulla pellicola. Dagli anni 40 in America e dagli anni 50 in Europa le trasmissioni televisive stimolano gli artisti. È nella multimedialità e interdisciplinarità in cui si incontrano i primi esempi di videoarte. La sperimentazione è caratterizzata da critica ideologica dei modelli culturali che contraddistinguono l’uso massificante della televisione. Alla fine degli anni 50 Wolf Vostell inserisce il televisore nei Decollage (distorsioni di immagini televisive, manifesti bruciati, cancellazioni) e nelle videoinstallazioni quali “Burning Tv” (1964), dove un apparecchio televisivo viene letteralmente incendiato, o “Endogen Depression” (1975), noto per le polemiche suscitate dalla presenza di cinque tacchini vivi, in cui Vostell presenta il televisore come emblema di incomunicabilità e violenza da denunciare e distruggere; lo schermo televisivo diventa protagonista dell’opera d’arte nelle video sculture di Nam June Paik, che realizza anche composizioni totem/moloch composte da televisori, fino alle operazioni più complesse sulla trasmissione dell’immagine del gruppo Fluxus in cui confluiscono anche Vostell e Paik. Ma è con la messa in commercio nel 1965 del primo videoregistratore portatile da parte della SONY che si assiste alle prime produzioni di videoarte: essa infatti, più di ogni altro linguaggio artistico, è dipendente dall’evoluzione tecnologica. Infatti la cesura più radicale è rappresentata dal passaggio dalla produzione analogica delle immagini a quella digitale nel 1997. Ed ecco “teatro electro-media”, “Tv as a Creative Medium”, prima mostra dedicata a questo linguaggio nel 1969 alla Howard Wise Gallery di New York; “Expanded Cinema”, primo testo sulla videoarte nel 1970; videogallerie, gallerie televisive e via discorrendo. Nel 1977 il Centre Pompidou di Parigi inaugura una sezione dedicata a foto, film e video e acquista cinquanta lavori di videoarte. Nel 1979 a Linz primo festival “Ars Electronica”. Nel 1989 a Nagoya in Giappone prima biennale di “Arte e Tecnologia”. Sul piano internazionale si apre un vivace dibattito sulla fusione interdisciplinare tra arte figurativa, letteratura, danza e teatro, e la videoarte si frammenta in scelte e posizioni diverse, che vanno dal documentario ai momenti sperimentali, alla contestazione e alla rivolta, al dialogo critico e sovversivo, come quello dell’americana “Guerrilla Television”. Dall’arte concettuale alla cultura pop, dalla performance alla sperimentazione, dall’happening alla body art nel campo della percezione visiva: tutto concorre alla costruzione di una nuova estetica. Se Andy Warhol e gli altri autori della pop-art esaltano anche in termini nazionali la cultura del consumismo, dall’Europa e dall’Asia si levano voci diverse che vanno nel senso opposto, mettendo in luce, in modo articolato e profondo, i limiti di questa pseudocilviltà. La videoarte è un linguaggio che porta all’interno di una mostra d’arte un’interattività che va fuori dagli schemi. L’opera d’arte non è soltanto concentrazione e studio ma anche imparare divertendosi.
Piermarco Parracciani