Coraggiosa e brillante, come tutte le persone dovrebbero essere e sentirsi. Ecco cosa ho pensato quando, qualche giorno fa, ho letto la storia di questa ragazza partenopea doc che aveva scelto di rivoluzionare la propria vita seguendo il proprio istinto. La storia di Anita Taglialatela mi ha incuriosito così tanto che ho deciso di “volare” in Norvegia per andare a conoscerla per voi. Ma vediamo un po’ cosa mi ha raccontato.
Raccontaci un po’ di te
Benvenuti nella mia vita, io mi chiamo Anita, sono napoletana e vivo a Oslo da circa tre anni. Sì esatto vivo in Norvegia, scelta che per tanti miei conterranei viene considerata alto tradimento poiché non ho, solo, lasciato Napoli ma per giunta per una meta così diversa dalla realtà partenopea. Qualcosa di inconcepibile per molti.
Dove vivi attualmente e perché hai scelto proprio questo Paese?
Ho scelto questo Paese perché qui ho trovato ciò che cercavo e non trovavo in Italia: qui la vita scorre lentamente, i ritmi lavorativi non sono stressanti, vi sono riconoscimento e gratificazione della professionalità (qualunque essa sia), i servizi sono impeccabili, c’è verde ovunque e praticamente vivi nella natura incontaminata che è a pochissima distanza dal centro delle città. Tutto ciò si riflette sulle persone, che girano per strada tranquille e distese, non col coltello tra i denti come chi in Italia, purtroppo, è costretto a combattere ogni giorno con chiunque, a cominciare dal vicino di casa per il posto auto per finire allo Stato nel quale il cittadino non si riconosce affatto ma che, anzi, vede come un nemico. Questo è solo il mio parere, naturalmente.
Di cosa ti occupi nello specifico?
La mia scelta è risultata a tanti ancora più folle quando, insieme al cambio di residenza, ho altresì deciso di cambiare lavoro: in Italia ho esercitato la professione di avvocato per circa 15 anni, in Norvegia ho un laboratorio di pasticceria e cucina italiana (soprattutto napoletana). Sono partita esclusivamente con la mia gattina Snai, che allora aveva 17 anni, la cui presenza al mio fianco è stata fondamentale.
Al culmine della tua carriera professionale hai deciso di voltare completamente pagina e ricominciare la tua vita in un altro Paese. Perché?
Non è stato semplice fare questa inversione a U che ha cambiato profondamente non solo la mia collocazione geografica ma soprattutto il mio stile di vita. Grazie all’attuale facilità di condivisione delle proprie esperienze (penso ai tantissimi canali di comunicazione privata, ai social, ai media) posso mostrare com’è la mia vita oggi e sono contenta di essere riuscita ad abbattere i pregiudizi iniziali, tant’è che anche coloro che in origine mi definivano pazza oggi mi ritengono coraggiosa. Ammesso, per mera ipotesi, che tra le due cose vi siano differenze. A ogni buon conto, le mie scelte appaiono meno bizzarre se si pensa che la mia è una famiglia di pasticcieri da 4 generazioni e che io, pur avendo intrapreso la carriera forense, ho sempre partecipato all’attività di famiglia sin da bambina e non ho mai smesso, fino al punto di renderla mia a tempo pieno qui in Norvegia. Così come, dal mio punto di vista e per quella che è stata la mia esperienza, posso dire di essere stata testimone dell’affossamento della Giustizia italiana (come degli altri pilastri sui quali una vera democrazia dovrebbe poggiarsi: Istruzione e Sanità). Continue e innumerevoli quanto sbalorditive riforme peggiorative del sistema giudiziario, taluni giudici che portano in tribunale i loro problemi personali incidendo arbitrariamente sulle rituali dinamiche del processo, alcuni colleghi che troppo facilmente dimenticano il codice deontologico studiato come materia obbligatoria per l’esame di abilitazione forense, controparti private non solvibili perché nullatenenti (ufficialmente) e controparti pubbliche non pignorabili perché in fase di dissesto (spesso doloso). Beh, tutto questo, nelle sue numerose manifestazioni pratiche, mi aveva ridotta a riferire ai miei assistiti, in fase di esame del loro caso, che loro avevano sì il diritto sancito dalla Legge ma che non valeva la pena iniziare un processo per farlo accertare. Ovviamente un avvocato che pensa questo non può più esercitare la professione, niente aveva più senso. Allora, all’età di 40 anni, ho compreso che per me era inutile e anzi dannoso rimanere in un contesto di cui non apprezzavo la quotidianità, pur avendo vanamente fatto il possibile prima per cambiarlo e poi per accettarlo. Così ho fatto quello che era in cuor mio già da tempo, ho deciso di trasferirmi in Nord Europa, posto che mi ha sempre affascinato moltissimo, e qui la mia fonte di sostentamento è diventata la mia passione genetica: la pasticceria, principalmente, e la cucina. Questo genere di attività è così piacevolmente diverso: mi consente di partecipare a eventi di festa e non a situazioni problematiche da risolvere discutendo per conto di altri, mi consente di vedere subito il risultato del mio lavoro e non dopo anni di tribolato alterco, mi consente di esprimere la mia creatività più di quando esercitavo la professione di avvocato! Ho sposato un concetto lavorativo che mi consente molta libertà e poco rischio di impresa: ho un laboratorio e non un negozio aperto al pubblico, lavoro solo su commissione e questo mi solleva moltissimo e mi consente di godermi la Norvegia. Inoltre il mio concetto prevede qualcosa in più rispetto al solo cibo, io cerco di donare delle esperienze, faccio in modo che chi assaggia le mie creazioni viaggi con la mente e con il cuore in Italia. Spiego sempre che il cibo non è solo una delizia per il palato ma è anche espressione delle tradizioni e della storia del paese dal quale quel cibo origina. Per questo racconto tantissime curiosità storiche, socio-culturali e personali legate alla pietanza che presento e tutti rimangono incantati, felici di “assaporare” non solo cibo ma anche la cultura che esso esprime.
Quali tue creazioni sono maggiormente apprezzate in Norvegia?
Qui in Norvegia amano molto la cucina e la pasticceria italiana, per esempio adorano i grandi classici come la delizia a limone, la pastiera e la ricotta e pera per quanto riguarda la pasticceria. Oltre ai sapori tipicamente italiani apprezzano, inoltre, moltissimo le suggestioni che le mie creazioni e i miei racconti provocano in loro. Insomma i golosi che si rivolgono a me fanno un vero e proprio viaggio culinario in Italia, pur rimanendo in Norvegia. Mat-reise, si dice in norvegese, e significa viaggio gastronomico.
In questo periodo, ricco di cambiamenti, hai scritto anche un libro. Parlacene.
Dal viaggio gastronomico di cui parlavo prima nasce il titolo del mio meraviglioso libro in doppia lingua (norvegese e italiano insieme) uscito pochi mesi fa e che sta facendo il giro del mondo. Il titolo è “En matreise gjennom Napoli – Partenope incanta la Norvegia”. L’idea è nata perché tanti mi suggerivano di scrivere un libro con la mia storia e la cosa risuonava molto in me, tuttavia non volevo scrivere una biografia nel senso tradizionale del termine, perché la mia vita non è stata (e non è tuttora) ordinaria e lineare e volevo che anche la mia biografia avesse un carattere di imprevedibilità. Così mi sono inventata un espediente narrativo per raccontare di me, delle mie scelte personali, delle differenze culturali riscontrate in Norvegia nonché del cibo e di Napoli che sono stati entrambi il mio passepartout per accedere a questa nuova fase della mia vita. Il mio libro racconta del viaggio del mio amico di fantasia Harald, che viene a Napoli con me per completare il suo corso di cucina napoletana. Io gli spiego che questo viaggio è necessario per concludere il corso perché solo vivendo, capendo e conoscendo Napoli lui potrà realizzare perfettamente le ricette che io gli ho insegnato. Ciò proprio in virtù del concetto che io diffondo, secondo il quale il cibo non è solo un alimento ma è espressione di un mondo. Così Harald ed io passeggiamo per la Napoli della mia quotidianità e con la leggerezza tipica di un viaggio tra amici, tra un babà e un monumento, io gli parlo di me e delle mie scelte, oltreché di un’insolita Napoli e di ricette napoletane (40 precisamente, con curiosità e aneddoti reali, anch’esse scritte sottoforma di romanzo). E, quando prendi un norvegese e lo porti a Napoli, uno dei coprotagonisti del libro diventa subito il confronto/scontro tra due culture così diverse, che si esprime in dialoghi divertenti o seri a seconda del caso proprio come nella vita. Il mio libro sta avendo molto successo e la cosa che più di tutte mi scalda il cuore è sentirmi dire mi hai fatto venire voglia di visitare Napoli.
Cosa ti manca dell’Italia?
Qui in Norvegia c’è Napoli in qualunque cosa io faccia, io amo la mia città, nonostante tanti pensino che lasciare significhi non amare. Ho lasciato Napoli e l’Italia per i motivi che ho appena raccontato, ossia in estrema sintesi per sopravvenuta invivibilità e intollerabilità rispetto a un sistema che, a parer mio, non ti consente di vivere con quella dignità minima che a ogni uomo dovrebbe essere garantita. Torno in Italia tutte le volte che voglio, è un richiamo che non posso non assecondare; mi manca l’odore del mare, il calore del sole sulla pelle… Ma scelgo di vivere in Norvegia perché qui mi sento in un contesto più affine al mio modo di essere. Cerco di trasmettere tutto questo sia nei miei rapporti personali, sia nel mio lavoro, sia nel mio libro che è un vero e proprio tributo alla mia famiglia, alla mia Napoli, a me stessa e a tutte le infinite possibilità che la vita ci riserva e che noi abbiamo solo il compito di notare quando si palesano davanti ai nostri occhi.
Quali sono secondo te le differenze tra il lavoro in Italia e quello in Norvegia?
Il mio percorso non è stato facile, ha comportato tanti sacrifici e rinunce. Ho lasciato a Napoli gli affetti più cari, uno status sociale ritenuto elevato (da coloro che credono negli schemi e negli incasellamenti), in maniera graduale ho lasciato il mio lavoro e la cara grande casa di famiglia. Mi sono trasferita in compagnia della sola mia anziana gattina, in un Paese molto diverso dall’Italia senza avere nessun punto di riferimento certo, senza avere un capitale da investire e dovendo scegliere per necessità (Oslo è tra le città più care al mondo) di abitare in una stanza in affitto in un appartamento di periferia condiviso con altre 2 persone e altri 3 gatti. Devo lavorare molto per riuscire a sostenermi da sola in un Paese così caro (un caffè costa circa 3 euro, un biglietto per l’autobus circa 4 euro, una pizza margherita circa 20 euro, l’affitto di una stanza circa 600 euro). La Norvegia non è uno di quei Paesi in cui si va per “provare”. In Norvegia si va per “fare” altrimenti sarebbe impossibile sopravvivere. In questo senso il mercato del lavoro offre molto, con tutte le tutele per i lavoratori (salvo casi eccezionali che non mancano neanche qui). L’aspetto che mi ha maggiormente colpito è costituito dal voler fortemente creare un ambiente lavorativo sereno nel quale lo spirito di squadra è la chiave vincente. E a questo fine, oltre ad un’attenta gestione del lavoro quotidiano (come per esempio la consulenza psicologica per i lavoratori stressati), i datori di lavoro, pubblici e privati, organizzano durante l’anno eventi extralavorativi di condivisione di esperienze tra colleghi e senza gerarchia alcuna: corsi di cucina, giochi all’aperto, feste danzanti, cene a tema, attività per scopi pubblici come ripulire i fondali marini solo per fare qualche esempio. Credo che questa modalità di agire sia davvero perfetta per creare unione tra i lavoratori e tra questi e il datore di lavoro, il che strategicamente è molto vantaggioso per tutti sotto molteplici aspetti. Capisco purtroppo che ciò in Italia non potrebbe avvenire, poiché il lavoratore italiano spesso non riesce a ottenere neanche uno stipendio dignitoso, figurarsi la gita fuori porta per tutta l’azienda più volte all’anno. Si tratta di due contesti completamente diversi e ciò incide molto anche sulla gestione del mondo del lavoro nei due Paesi evidentemente.
Cosa consiglieresti ai giovani che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso?
Molte persone, di qualunque età e competenza, mi contattano perché hanno letto di me e mi chiedono consigli oppure semplicemente mi manifestano la loro ammirazione. Io riferisco loro che ho solo fatto ciò che sentivo più giusto per me e che ogni individuo, nel rispetto del prossimo, dovrebbe seguire le proprie inclinazioni e non sentirsi mai imprigionato in un contesto che non gli appartiene perché ci sono sempre altre possibilità.
Progetti per il futuro?
Hvis jeg vil kan jeg, se io voglio io posso.
Annalisa Iaconantonio