Parlaci un po’ di te
Sono un docente universitario italiano trasferitosi in Islanda. Da sempre mi interesso di cultura nordica, letteratura e storia medievale, e ho cercato di trasformare questa passione in un percorso di studio e di vita.
Vivo e lavoro in un contesto accademico, ma coltivo anche il progetto di divulgazione “Un italiano in Islanda”, assieme ad attività di scrittura e ricerca personale.
Ho pubblicato traduzioni di saghe medievali islandesi con Iperborea, la Guida Islanda per National Geographic, e due volumi con Mondadori: Un italiano in Islanda e Il grande libro del folklore islandese.
Amo ascoltare musica antica e immergermi nella natura islandese immaginandomi la storia e le storie che l’hanno avuta come sfondo nel corso di più di un millennio.
Dove vivi attualmente e perché hai scelto di trasferirti in questo posto?
Attualmente vivo a Reykjavík, dove insegno islandese e svolgo attività di ricerca in ambito medievale. La scelta è nata da un misto di motivazioni professionali e personali: l’interesse profondo per la cultura nordica, la passione per il folklore, il desiderio di un’esperienza di vita all’estero, e la possibilità concreta di lavorare in un ambiente accademico stimolante e internazionale.
Inizialmente non avevo pensato di trasferirmi in pianta stabile. Ero venuto soltanto per ottenere una laurea magistrale in studi medievali islandesi, ma mi sono trovato bene sotto ogni aspetto e ho deciso di restare.
Di cosa ti occupi nello specifico?
Insegno in ambito universitario, ora ho un contratto per l’insegnamento della lingua e della grammatica, islandese come seconda lingua ma, in passato, ho insegnato anche lingua letteratura italiana, antico islandese e manoscritti medievali islandesi.
La mia specializzazione principale alla storia della lingua Islandese: la mia ricerca di dottorato è stata un’analisi dello sviluppo della lingua nel tardo medioevo, grazie alla quale ho mappato la sua evoluzione in modo tale da permetterci di datare in modo più accurato i manoscritti.
Mi interesso anche di folklore e di magia, di cui l’Islanda è colma. Parallelamente, gestisco un progetto dal taglio divulgativo e riflessivo: “Un italiano in Islanda”, ho un sito dedicato, dove pubblico articoli di approfondimento culturale antropologico, e profili Facebook e Instagram dove condivido questi contenuti assieme a numerosi aggiornamenti sulla vita quotidiana in Islanda.
Ho anche una collaborazione con la casa editrice Mondadori, con la quale ho pubblicato due libri.
Cosa ti emoziona di più del tuo lavoro?
Il momento in cui una lezione diventa dialogo, quando le idee prendono forma e si trasmettono. Mi emoziona la possibilità di creare connessioni: tra culture, epoche, lingue diverse. E anche vedere negli studenti quella scintilla di curiosità che a volte può cambiare una prospettiva.
“Un Italiano in Islanda”. Quando e perché è nato?
Il blog è nato alcuni anni fa, quasi come un diario. Inizialmente condividevo riassunti di quello che studiavo l’università, assieme a dei resoconti dei miei viaggi nel Regno Unito e Scandinavia, a recensione di libri, e a riflessioni.
Una volta trasferitomi in Islanda è diventato un modo per raccontare l’esperienza di vivere e lavorare in questo Paese, ma anche per condividere riflessioni culturali, letture, osservazioni sul mondo nordico. Nel tempo è diventato uno spazio in cui storia, letteratura e vita quotidiana si incontrano. È un punto di riferimento per chi vuole esplorare questo mondo culturale.
Quali sono le principali differenze tra lavorare in Italia e all’estero secondo te?
Penso che un’esperienza di lavoro in un ambiente profondamente diverso da quello italiano sia necessaria per tutti, soprattutto per rendersi conto che tantissime delle brutture del mondo del lavoro italiano non sono leggi della natura, ma torti che è possibile raddrizzare: tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di scoprire che è possibile un mondo del lavoro dove gli straordinari non sono dovuti, ma pagati profumatamente, dove il rapporto con il datore di lavoro è di fiducia e comprensione reciproca, dove si cerca di fare squadra a tutti i livelli, e dove è possibile coltivare una vita soddisfacente, senza doverla servire completamente al proprio mestiere.
Generalizzando, direi che all’estero ho trovato maggiore flessibilità e una gestione più democratica e umana dei rapporti di lavoro, anche se ogni sistema ha le sue criticità. In Islanda, in particolare, c’è una dimensione umana molto forte nei rapporti di lavoro, una cultura del dialogo e una fiducia reciproca che favoriscono l’autonomia e la responsabilità, ma possono anche sussistere forti nepotismi perché è una società fatta di strettissime relazioni familiari e interpersonali.
Se dovessi tornare indietro rifaresti la stessa scelta?
Sì, assolutamente. Trasferirsi non è mai una decisione semplice, ma rifarei la scelta, perché mi ha permesso di crescere, sia professionalmente sia come persona. Con il senno di poi, sarebbe in effetti più facile trasferirmi.
Quale consiglio daresti ai giovani che vorrebbero intraprendere il tuo stesso percorso?
Di essere tenaci ma flessibili. Di studiare con rigore, ma anche di essere curiosi fuori dai percorsi tracciati. Di divertirsi e fare degli errori, ma senza esagerare. Di prepararsi bene, linguisticamente e culturalmente, e soprattutto di coltivare la propria identità senza temere il confronto con l’altro.
La cosa più importante, però, credo che sia quella di non cedere alle pressioni di una società che crede di sapere prevedere il futuro e poter stabilire per i giovani quale sia il percorso migliore da scegliere. Per quanto ne sappiamo, i percorsi più redditizi di oggi, potrebbero diventare obsoleti già da domani mattina.
Non ha senso cercare la sicurezza nel mondo di oggi, molto meglio coltivare la flessibilità e l’adattamento
Progetti per il futuro?
Continuare a scrivere, a insegnare, a studiare. Quest’anno sono stato invitato per la seconda volta al grande festival del medioevo di Gubbio, dove parlerò della scoperta del nuovo mondo da parte degli islandesi nel medioevo.
Naturalmente vorrei far crescere il mio progetto divulgativo i miei canali social, e mi piacerebbe tenere delle conferenze a tema, Anche se per ora mi manca il fattore più determinante: il tempo!
Annalisa Iaconantonio