Non riesco ancora a rendermi conto di essere un malato oncologico, anzi un malato oncologico con un tumore non operabile e con metastasi diffuse.
La diagnosi inaspettata: dalla speranza alla paura
Per un periodo ti curano in base a una diagnosi sbagliata e ti senti malato, ma con una prospettiva di guarigione, vedi una fine alla terapia che stai seguendo, continui a fare programmi, a fissarti obiettivi, insomma hai ancora una vita normale.
Poi, improvvisamente, la prospettiva cambia, non c’è più tempo per fare programmi, per guardare lontano, la tua intera esistenza viene stravolta da una semplice parola: TUMORE!
Affrontare il cambiamento: il TUMORE come punto di svolta
Non sai più a cosa pensare, guardi in faccia tua moglie, i tuoi figli e il cuore sembra scoppiarti nel petto, un groppo in gola ti impedisce di respirare e una sola domanda ti viene in testa: “Perché a me?”.
Purtroppo (ma dovremmo dire equamente), le disgrazie non capitano sempre agli altri, la ruota del destino gira e può colpire chiunque e, allora, rifletto “Meglio a me, piuttosto che a chiunque altro della mia famiglia”.
L’ospedale: un mondo separato dalla realtà quotidiana
Si aprono le porte dell’ospedale, vieni ricoverato per fare tutti gli accertamenti necessari, vieni strappato dalla tua routine quotidiana, dalla tua famiglia, dalla tua casa, dal tuo lavoro, dalle tue abitudini.
Entri in un mondo diverso, fatto di colori ed odori specifici, di orari cadenzati, di sofferenza, di speranza e di morte.
Impari a distinguere i ruoli del personale dal colore dei camici, le tue braccia diventano una cartina geografica a forza di buchi per prelievi e flebo, ti abitui a respirare con l’ausilio di due piccole cannule infilate nel naso, ad andare in bagno con un apparecchio collegato al tuo corpo per il drenaggio di liquidi, a mangiare, ad orari improbabili, pietanze altrettanto improbabili e impresentabili.
La solitudine e la solidarietà tra malati oncologici
La notte non dormi, senti voci che si lamentano, campanelli che suonano, mentre sul soffitto una luce violetta illumina sinistramente stanze con letti carichi di sofferenza.
Non vedi l’ora che sorga il sole, che quelle luci si spengano, che sia passato finalmente un altro giorno.
Conosci altre persone con le quali entri immediatamente ed empaticamente in rapporto, il dolore unisce, tra malati oncologici ci si comprende e ci si fa forza a vicenda.
Dimissioni e rientro a casa: una nuova vita da ricostruire
E quando, finalmente, arriva il giorno delle dimissioni con l’assegnazione della terapia domiciliare salvavita da seguire, ti senti strano.
Da un lato sei felice, perché puoi tornare a casa dalla tua famiglia, dall’altro hai paura di abbandonare quel posto dove, tra tanta sofferenza, ti sei sentito, comunque, protetto.
Inizi a preparare con fatica la valigia riponendo tutti i tuoi effetti personali, controlli e ricontrolli di non aver lasciato nulla, lasci ai tuoi compagni di camera ciò che si può lasciare, prometti di rivedersi presto, anche se sei sicuro che, difficilmente, ciò accadrà e aspetti che qualcuno venga a prenderti per portarti via.
Una vita limitata: convivere con la malattia e il dolore
Quando rientri a casa tutto ti sembra strano, avevi anche pensato di non tornarci più, di terminare la tua esistenza in ospedale.
Devi riappropriarti dei tuoi spazi, della tua routine, della tua stessa vita, ma non è facile.
Sistemi in un angolo tutte le confezioni di medicinali che devi assumere ad orari precisi e cadenzati, butti velocemente nel cestino della “roba sporca” gli indumenti che hai usato in ospedale, ti sdrai sul tuo letto, chiudendo gli occhi.
Tutti sono premurosi con te, anche troppo, preferiresti restare un po’ solo, ma non è possibile e, forse, è meglio così.
Pensieri e paure: guardare al futuro con angoscia
Lentamente, con difficoltà, riprendi a vivere, ma è una vita limitata, c’è sempre quel macigno che ti opprime e ti appesantisce ogni passo.
Non sei guarito e non puoi guarire, il tuo male c’è sempre e sempre ti accompagnerà, in ogni momento, in ogni istante.
La tua è una vita a scadenza, non sai esattamente la data, ma, comunque, non può essere molto lontana nel tempo.
Non fai più programmi per il futuro, non pensi più a cambiarti l’automobile a fare sogni di viaggi con tua moglie per quando sarai in pensione.
Ti affretti solo a cercare di sistemare tutto per non lasciare pendenze, a spiegare anche le più piccole cose ai tuoi cari affinché non si trovino in difficoltà quando non ci sarai più, a far vedere come devono essere fatte.
La roulette russa della vita: i controlli e l’attesa della verità
Guardi i tuoi figli e pensi che non li potrai vedere grandi e sistemati, non potrai dar loro supporto in questo importante momento di crescita, non li potrai vedere inserirsi nel mondo lavorativo, farsi una famiglia, avere dei figli.
Guardi tua moglie e vedi come si sta distruggendo standoti affianco e cercando di non farti avvertire la malattia.
Guardi tua madre che, pochi giorni prima della tua diagnosi, ha perso un marito con il quale ha vissuto oltre sessant’anni e ora non riesce ad accettare che, probabilmente, potrà perdere anche un figlio.
E ripensi a tuo padre, a quell’uomo forte e deciso che, nella tua vita, era stato sempre un punto di riferimento e un porto sicuro ove rifugiarsi nei momenti di difficoltà e che, ora, quando ne avresti un estremo bisogno, non c’è più.
Tutti questi pensieri si affollano nella tua mente e non ti lasciano mai solo, neanche la notte quando un sonno sempre agitato ed intermittente ti accompagna sino al mattino successivo.
La mia vita da malato oncologico
Vivi sempre nell’attesa di sapere come andrà il controllo alla visita oncologica del mese successivo, o alla periodica TAC con mezzo di contrasto.
È come giocare alla roulette russa, o dentro o fuori, o vivere o morire.
Questa è la vita di un malato oncologico o, almeno, la mia vita da malato oncologico.
Walter Amorosini