Intervista a Fabrizio Pulvirenti
Incontriamo il dottor Fabrizio Pulvirenti, medico infettivologo catanese, noto come il medico italiano guarito da Ebola dopo avere contratto il virus in Sierra Leone, dove lavorava come volontario per conto di Emergency. Rientrato in Italia fu ricoverato per 38 giorni allo Spallanzani di Roma prima di essere dichiarato guarito, oggi Pulvirenti è diventato un simbolo di speranza. Per l’emergenza Covid-19 lavora in prima fila nel reparto di Malattie Infettive dell’ospedale di Enna.
Quali differenze ci sono tra Ebola e Covid-19?
Sarebbe più giusto dire “quali differenze tra Ebola e SARS-CoV2”, oppure, tra “EVD e CoViD-19”, ma – al di là della semantica – è ovvio che si tratti di due virus, due malattie e due contesti profondamente diversi. Spiego meglio. EBOV è un virus silvestre che accidentalmente, per complessi fenomeni ambientali, infetta anche l’uomo con tassi di letalità molto elevati (l’ultima grande epidemia, quella del West-Africa, si è attestata al 50%: ogni due persone contagiate, una è morta). SARS-CoV2 è un Coronavirus che sta cercando di adattarsi all’uomo tant’è che il tasso di letalità complessivo, nel mondo, è di circa il 2%. Inoltre sono diverse le modalità di trasmissione: EBOV si trasmette anche attraverso il contatto con la pelle di un soggetto contagiato, SARS-CoV2 è un virus a trasmissione “aerea”. Partendo da queste differenze, è naturale che i comportamenti delle popolazioni dirette a prevenire il contagio debbano essere diversi.
Durante una tavola rotonda di esperti organizzata presso la JP Morgan Healtcare Conference, l’amministratore delegato della Moderna, che ricordiamo è produttrice di un vaccino anti covid, ha dichiarato che il virus diventerà endemico e quindi dovremo farci i conti per tutta la nostra vita. Qual è la sua posizione al riguardo?
È piuttosto verosimile che, di mutazione in mutazione, il virus perda parte della propria “fitness” e si adatti talmente all’uomo da diventare endemico. Ricordiamo che tra epidemia, pandemia ed endemia esistono profonde differenze in medicina. Nella “filosofia” del virus non è un vantaggio uccidere l’ospite perché tutti i virus necessitano delle cellule degli organismi superiori per potere perpetuare sé stessi. Appare chiaro che un virus che uccide tutti gli ospiti che infetta ha vita breve (EBOV dà luogo a focolai epidemici, ma, una volta contenuti, torna nelle foreste); al contrario, un virus che riesce a stabilire un rapporto compatibile con il proprio ospite è destinato a perdurare. Verosimilmente SARS-CoV2, se perdesse fitness e virulenza, potrebbe anche adattarsi all’uomo e divenire endemico.
Questa pandemia può evolversi nei prossimi anni, come da tanti ipotizzato, in una malattia della prima infanzia?
Per i motivi che ho precedentemente esposto è piuttosto verosimile. Del resto i Coronavirus “umani” sono gli agenti del comune raffreddore e di banali infezioni delle prime vie aeree. Nulla impedisce che anche SARS-CoV2 segua questa evoluzione.
Chi è risultato positivo al virus deve sottoporsi comunque alla vaccinazione o è inutile?
Chi ha contratto l’infezione naturale da SARS-CoV2 ed è guarito, è portatore dell’immunità contro il virus, tant’è che quei soggetti appena guariti e che presentano elevata concentrazione di anticorpi, diventano donatori del cosiddetto plasma iperimmune. Logica vorrebbe che, prima di sottoporre a vaccinazione un soggetto guarito, si procedesse alla determinazione del titolo anticorpale. Tuttavia, poiché la vaccinazione non farebbe altro che “potenziare” la risposta immunitaria e non è dannosa, le linee guida ufficiali si sono espresse nel consigliare la vaccinazione anche ai soggetti guariti. A mio avviso, però, tali soggetti dovrebbero passare in coda a tutti gli altri individui.
Quali sono le reali precauzioni che nella quotidianità dobbiamo tutti mettere in campo?
Esattamente quelle che abbiamo fin qui adottato almeno fino a quando non sarà raggiunta una percentuale di soggetti immuni (vaccinati o guariti) che possa garantire la ormai nota “immunità di gregge”. SARS-CoV2, soprattutto nelle prime fasi della pandemia, ha avuto autostrade nelle quali correre perché ogni soggetto incontrato è stato un ospite suscettibile; quando avremo un sufficiente numero di persone immuni la propagazione del virus sarà molto più difficile e, di conseguenza, si abbasseranno di molto i casi. Soltanto allora potremo ritornare alla normalità, ma – a mio avviso – saranno necessari almeno altri 18-24 mesi di sacrifici.
Massimo Maria Amorosini