Un mondo affollato di immagini antiche dove il presente, in un tempo e in uno spazio sospesi, è ladro di anima e di memoria. È il mondo delle Demenze, una sindrome clinica caratterizzata dalla perdita delle funzioni identitarie dell’individuo.
Guardando al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V TR), una delle “Bibbie” della nosografia psicopatologica, edito dall’American Psychiatric Association nell’ultima versione del 2022, si rivela uno spettro che include diverse voci per descriverlo.
Il capitolo dei Disturbi Neurocognitivi, infatti, parla di Delirium, Disturbo neurocognitivo maggiore, Disturbo neurocognitivo lieve, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattia di Alzheimer, Disturbo neurocognitivo frontotemporale maggiore o lieve, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve a corpi di Lewy, Disturbo neurocognitivo vascolare maggiore o lieve, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a danno cerebrale traumatico, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve indotto da sostanze/farmaci, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a infezione da HIV, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattie da prioni, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattia di Parkinson, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattia di Huntington, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto ad altra condizione medica, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a eziologie molteplici, Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a eziologia sconosciuta, Disturbo neurocognitivo senza specificazione (DSM V TR, 2022).
La forma di Demenza più tristemente famosa è costituita dal morbo di Alzheimer, definito nel 1910 dallo psichiatra Kraeplin a seguito di una descrizione dei sintomi scoperti da Alois Alzheimer nel 1906.
Si tratta di una demenza caratterizzata da una degenerazione del Sistema Nervoso Centrale, con i neuroni, le cellule nervose, interessate all’esterno dalla formazione di placche senili, le placche amiloidi, all’interno dalla formazione dei grovigli neurofibrillari: questa situazione rende i neuroni incapaci di trasmettere impulsi nervosi, quindi di comunicare, quindi, in ultima analisi, di funzionare.
Quando parliamo di Demenze, facciamo riferimento a un gruppo di disturbi il cui deficit clinico primario è costituito da una degenerazione delle funzioni cognitive: in queste rientrano l’attenzione, la funzione esecutiva, cioè la capacità di pianificare i comportamenti, l’apprendimento, la memoria, il linguaggio, le abilità percettivo-motorie, cioè la percezione visiva, le funzioni prassiche e gnosiche, la cognizione sociale.
Tutte le demenze, in termini generali, destabilizzano la centrale operativa dell’individuo, il suo cervello.
De, “dalla”, mens, “mente”: l’etimo parla di un allontanamento del soggetto dalla mente, dalle capacità, innanzitutto, cognitive.
Il loro raggio d’azione, che spesso prende l’avvio da uno stato confusionale con effetti sulla memoria a breve termine e difficoltà nella gestione delle attività quotidiane, in realtà, insiste su tutte le dimensioni identitarie del soggetto: da quella fisica a quella psichica, cioè cognitiva ed emotiva, a quella relazionale.
L’individuo, nella fattispecie l’anziano, perde l’idea di quello che è stato, si confonde nel presente, non vede il futuro.
In termini generali e progressivi, il malato è chiamato a fare i conti con la perdita di memoria, con una comunicazione verbale che ha problemi con i nomi delle cose e delle persone, con una comunicazione non verbale spenta ed eloquentemente depressiva, con un disorientamento che genera confusione, con la perdita dell’autosufficienza nel quotidiano, con deragliamenti allucinatori, con atteggiamenti, a volte, anche violenti e sopra le righe.
Gli studiosi sono concordi nel descrivere il decorso della malattia, in termini generali, secondo tre stadi.
Il primo, lieve, che ha una durata di due o tre anni, propone disorientamento temporale e spaziale, piccole perdite di memoria, difficoltà nella scelta delle parole, accompagnati da vissuti di ansia, depressione, agitazione e apatia.
Il secondo, moderato, aggiunge, al peggioramento di questi primi segnali, difficoltà nella cura personale, più in generale nelle attività di base quotidiane, accompagnate da insonnia, agitazione, alterazioni comportamentali. A partire da questo stadio, che può durare fino a cinque anni, si propone la necessità della presenza del caregiver, cioè di una persona che si prenda cura del paziente.
Il terzo stadio, grave, accanto alla degenerazione dei sintomi precedenti evidenzia la perdita della capacità di riconoscere i volti familiari e i luoghi: la perdita dell’autosufficienza si accompagna anche alla perdita del controlli sfinterico.
Le cause delle Demenze sono prevalentemente acquisite e non evolutive.
In buona sostanza, siamo al cospetto di patologie non presenti alla nascita o in fasi precoci della vita, che intervengono nel corso degli anni, spesso in età anziana, e propongono un declino rispetto a un livello di funzionamento precedente.
Non esistono prove a sostegno di una ereditarietà di tali forme patologiche, che sembrano prevalentemente causate da aspetti situazionali e comportamentali: l’invecchiamento, in generale, costituisce un processo irreversibile in cui si verifica il declino di una serie di funzioni vitali, potenziato da una serie di stress ambientali.
Le ricerche degli anni a venire potranno dirci se un ruolo in tal senso potrebbe essere riconosciuto, anche solo nei termini di un indebolimento delle difese preventive, alle dis-funzioni e alle disabilitazioni di aree cognitive cerebrali. Mi riferisco, in tal senso, ai cambiamenti che possono riguardare la Corteccia prefrontale ventro-medialele, un’area cerebrale che riveste un ruolo cruciale su alcune funzioni come, ad esempio, la valutazione di sé e degli altri, le scelte etiche ed emotive, a seguito del rapporto sempre più massivo, e per alcuni aspetti passivizzante, con la realtà virtuale.
In un Paese come in nostro, dove, seguendo i più recenti dati ISTAT (aprile, 2023), a inizio 2023 la speranza di vita alla nascita è di 82,6 anni e, soprattutto, la popolazione ultrasessantacinquenne raccoglie 14 milioni e 177mila individui, vale a dire il 24,1% della popolazione totale, il fenomeno della prevalenza delle Demenze diventa un problema rilevante se si volge lo sguardo al piano dell’assistenza.
Un problema di politiche socio-assistenziali.
Un problema di rilevanza familiare.
Su questo piano, è bene evidenziare come le Demenze costituiscano patologie che toccano l’individuo ma segnano, necessariamente, la sua famiglia, intesa come sistema di riferimento, cioè come gruppo coinvolto anche nei suoi membri che non vivono a stretto contatto con il paziente ma a cui sono legati da parentela stretta.
La diagnosi irrompe come una tempesta nella quiete del quotidiano, ponendo la famiglia al cospetto dell’ansia di separazione indotta dai pensieri di morte, stravolgendone ruoli, abitudini, più in generale, equilibri.
Le famiglie solitamente reagiscono negando la malattia, successivamente minimizzandone la consistenza, per poi precipitare in vissuti di frustrazione e depressivi, di fronte a un processo di svuotamento identitario del paziente che, per età, spesso, costituisce anche uno degli elementi portanti della famiglia, quantomeno della sua storia.
Sul piano pratico, è importante costruire una rete di cura e di protezione, costituita dai familiari e, nei casi più gravi, da figure professionali esterne.
La funzione di questa rete deve essere quella, innanzitutto, di gestire e sostenere l’assistenza socio-sanitaria del paziente.
Ma una funzione parimenti, se non più, importante, è quella di muoversi con cautela nel rapporto quotidiano con il paziente.
Da questo punto di vista, sarà terapeutico rassicurarlo e aiutarlo con discrezione non sottolineando i suoi errori, seguire ritmi comunicativi adeguati alla lentezza delle sue funzioni cognitive sostenendolo e aiutandolo a trovare le parole adatte, avere molta pazienza, evitare di arrabbiarsi nei suoi confronti a fronte di obiettive difficoltà, non sostituirsi ma incoraggiarlo aiutandolo a credere in se stesso.
È bene non dimenticare che nei momenti di consapevolezza, sempre più rari, il malato si mortifica e si innervosisce di fronte alla sua impotenza.
Non bisogna sottovalutare, ovviamente, che soprattutto le persone che si prendono cura del malato, in particolare quelle anziane, soprattutto i partner, hanno bisogno di essere sostenute ed aiutate fisicamente e psicologicamente, in un vissuto emotivamente doloroso e fisicamente provante.
Non bisogna sottovalutare, da parte di tutti coloro che circondano il malato, che per questi non è importante ricordare il nome di chi gli vuole bene e gli è accanto, ma avvertire il senso di un mondo che sappia essere vicino, curare e proteggere con amorosa ed empatica vicinanza.
Luca Vallario