IL NOSTRO CERVELLO TRATTIENE ALCUNE INFORMAZIONI E NE CANCELLA ALTRE, IN UN PROCESSO SELETTIVO PER NOI ASSOLUTAMENTE BENEFICO.
Del corpo umano, il cervello è sicuramente uno degli organi più studiati, ma tutt’ora, più misteriosi. La funzione della memoria, specialmente, lascia ancora ampio spazio all’osservazione e all’approfondimento per riuscire a comprenderne, a pieno, i meccanismi e l’evoluzione, nello scorrere del tempo.
Se, man mano che invecchiamo, la nostra più grande preoccupazione è quella di perdere pezzi di ricordi o scordare certi dettagli, a questo riguardo, studiosi britannici e statunitensi ci vengono in aiuto e ci chiariscono alcuni aspetti.
“Per ricordare una cosa, occorre scordarne un’altra”. Gli scienziati hanno appurato che dimenticare serve alla nostra mente per ripulire i nostri pensieri e questo, è un meccanismo assolutamente normale. Si chiama ‘dimenticanza adattiva’. Scordare (perciò) non è più considerato come una imperfezione o un difetto, ma come un fondamentale ingranaggio adattativo. Una funzione, una abilità messa in atto per ridurre la quantità di informazioni da assimilare e riuscire così a distinguere fra quelle utili e quelle non utili. Il meccanismo della dimenticanza adattiva, era già noto ad alcuni studiosi che però non erano mai arrivati a rappresentarlo con precisione. Alla fine, c’è riuscito un gruppo di ricercatori dell’Università di Birmingham e della Mrc Cognition and Brain Sciences Unit di Cambridge attraverso tecniche di “imaging cerebrale”, tant’è che lo studio si è meritato la pubblicazione sull’autorevole rivista Nature Neuroscience. L’esperimento si è così sviluppato: gli scienziati britannici hanno sottoposto una serie di immagini ad un gruppo di volontari e, poco dopo, hanno chiesto loro di ricordarne alcune. Durante la prova, è stata tracciata l’attività cerebrale dei volontari tramite la risonanza magnetica funzionale. Dal test, composto di diversi passaggi, è emerso che nei volontari, la memoria di ciò che era stato chiesto di richiamare alla mente diventava sempre più vivida ad ogni step, mentre si indebolivano altri ricordi i quali avrebbero potuto creare confusione. Per entrare nello specifico, gli esami diagnostici hanno evidenziato che il cervello, dei soggetti esaminati, sopprimeva selettivamente i meccanismi corticali che sottostavano ai ricordi i quali avrebbero potuto ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo. Questa scoperta, quindi, secondo i ricercatori potrebbe avere un’enorme rilevanza in ambito giudiziario, soprattutto per quanto riguarda il ruolo dei testimoni oculari nei processi. Sembrerebbe, infatti, che quando questi “testi” vengono interrogati più e più volte e con domande sempre più specifiche, si distrarrebbero dal resto, avrebbero la tendenza a dimenticare i particolari e la memoria a sprazzi, risultando così poco credibili ai fini delle indagini.
Secondo un altro studio, condotto presso il Centro di ricerca sull’Alzheimer della Columbia University, “dimenticare” rappresenterebbe addirittura un autentico beneficio. Capo della ricerca il professor Scott Small, specialista in neurologia e psichiatria, che ha pubblicato i risultati in un volume dal titolo “Forgetting: The benefits of not remembering” (Dimenticare. I benefici del non ricordare). Il professore evidenzia quanto, per l’essere umano, la capacità di dimenticare sia preziosa quanto quella di ricordare.
Ciò perché un cervello sano è in grado di attivare la capacità di rimuovere tutto quello che non gli serve, conservando solo quello che gli è necessario. Lo fa esattamente come un computer che libera la memoria per fare spazio su disco. Eliminando il superfluo, si riesce a fare spazio per pensare meglio e concentrarsi sulle priorità. Ne discende che, avere la memoria corta aiuti a prendere decisioni efficaci e addirittura, secondo il professore Small, faciliti creatività, velocità e flessibilità.
Questa capacità di eliminare il sovrabbondante, non ha niente a che vedere con la demenza o con la perdita di memoria patologica, ma è un processo funzionale che il nostro cervello attua naturalmente. In sostanza, dimenticare il superfluo ci fa bene.
A differenza di quanto considerato in precedenza come un sintomo di decadimento, l’atto del dimenticare potrebbe essere nientemeno che un meccanismo utile al cervello per l’adattamento in natura.
Ce lo spiega meglio il neuro scienziato Michael Anderson, professore della Università di Cambridge. Egli sostiene che “Tutti gli esseri viventi dimenticano, se qualsiasi organismo può apprendere una lezione dall’esperienza la può anche dimenticare”. Probabilmente sarà più difficile imparare se non si riesce anche a dimenticare. Il primo a scoprire quanto il dimenticare fosse un processo attivo e non degenerativo, fu Ron Davis (altro neuro scienziato) dell’istituto di ricerca Scripps a Jupiter in Florida, studiando i moscerini della frutta. Intento a valutare la formazione della memoria di questi piccoli insetti e l’influenza dei neuroni che producono la dopamina (neurotrasmettitore che interviene nei processi del piacere e della ricompensa), scoprì quanto la dopamina fosse fondamentale per “dimenticare”.
Altri dati a conferma della tendenza a perdere ricordi come processo attivo (e non degenerativo), sono stati trovati da Paul Frankland, neuroscienziato dell’ospedale pediatrico di Toronto. Eseguendo un esperimento sui topi da laboratorio, scoprì che un’informazione appresa dai roditori, se non più necessaria, veniva dimenticata e sostituita con un’altra immediatamente più utile. Un processo che ci permette di conoscere la realtà circostante e di aggiornare questa conoscenza, mano a mano che viviamo.
Si è lavorato poco sulla comprensione dei meccanismi della dimenticanza perché considerata (quella non patologica) a torto, poco importante. I risultati delle ricerche di tutti gli studi fatti sembrano dimostrare il contrario e convergere nel determinare che il dimenticare ci serva, probabilmente, per sopravvivere in un mondo in costante trasformazione, adattandoci così alle nuove situazioni. L’ippocampo, che è quella parte del cervello che svolge un ruolo importante nell’archiviare la memoria, non riuscirebbe a immagazzinare stabilmente nuovi ricordi senza coprire dinamicamente o sostituire le vecchie informazioni, che reputiamo non più necessarie. La riscrittura di nuove informazioni su quelle vecchie (proprio come i computer) rappresenterebbe un continuo adattamento alla dinamicità delle informazioni sull’ambiente circostante.
Sarebbe interessante applicare tutte queste conoscenze degli studi sulla memoria per aiutare le persone a dimenticare meglio. Magari queste scoperte potrebbero rafforzare quei modelli clinici che vanno nella direzione del lasciar andare i pensieri negativi occupandosi di altro, permettendo così alla memoria di aprire spazi, di adattarsi a situazioni nuove e facilitare, così, la sovrascrittura.
Pare che anche la perdita di memoria nell’anziano potrebbe avere una funzione adattiva. Vista la riduzione dei neuroni conseguente all’invecchiamento biologico, sembrerebbe conveniente lasciar andare memorie del presente poco rilevanti ma impegnative da immagazzinare, per far posto alle informazioni salienti del presente.
L’oblio come concetto attivo e adattivo è relativamente nuovo per la scienza e, solo fino a qualche anno fa, considerato solo dal punto di vista ‘patologico’ e dell’invecchiamento, unicamente come un processo passivo e senza alcuno scopo utile. Parrebbe non esser così!
Monica Cinti